La Camera dei Comuni del Regno Unito approva la legge anti-UE

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L’approvazione da parte della Camera dei Comuni britannica, con 340 voti favorevoli e 256 contrari, della cosiddetta legge sul mercato interno (Internal Market Bill) la quale si riferisce al contestato progetto di legge messo in atto dal Governo presieduto da Boris Johnson mira a rimettere in discussione alcuni degli impegni presi per il dopo Brexit nell’Accordo di Recesso firmato con l’Ue, in particolare sullo status commerciale e doganale dell’Ulster: norma che ha scatenato l’ira di Bruxelles.

Il testo era stato modificato con un potere di veto attribuito al Parlamento di Westminster all’attuazione dei punti che violerebbero il diritto internazionale: modifica che ha messo fine alla ribellione di una parte di deputati della maggioranza Tory, ma non basta a far rientrare la minaccia Ue di ricorsi legali. Ora per il governo ci sarà comunque l’ostacolo della Camera dei Lord.

La maggioranza teorica che sostiene il governo ha perso alla fine appena un pugno di voti, incluso quello rimasto quasi solitario nei banchi Tory dell’ex premier Theresa May: la quale ha tenuto duro sino alla fine nel no a una legge da lei criticata come “una macchia sulla reputazione” del Paese per la potenziale violazione d’un trattato internazionale.

Il disegno di legge, emendato nei giorni scorsi con una correzione concordata dall’esecutivo con il veterano conservatore moderato Bob Neill, indica ora limiti di attuazione dei punti più controversi, che potranno essere invocati – previo un ulteriore passaggio parlamentare obbligatorio – solo in caso di presunti rischi per l’integrità del confine interno fra Irlanda del Nord e resto del Regno in assenza di un accordo commerciale di libero scambio fra Londra e l’Ue.

Per i 27 non si tratta in ogni modo di una modifica determinante, tenuto conto che si limita ad attribuire di fatto potere di veto a Westminster, ma lascia nelle mani delle istituzioni britanniche la pretesa di poter rivedere unilateralmente elementi cruciali dell’intesa di divorzio. Bruxelles ha ribadito in questi giorni che la minaccia di un ricorso legale resta pendente, laddove il provvedimento non fosse ritirato (come al momento il governo Johnson rifiuta decisamente di fare) ed entrasse definitivamente in vigore. La polemica non ha tuttavia congelato i negoziati sulle relazioni future, che questa stessa settimana proseguono a Bruxelles fra i team guidati dal Michel Barnier e lord David Frost e che – malgrado alcuni nodi chiave ancora tutt’altro che risolti – potrebbero ancora portare a un accordo commerciale in extremis entro metà ottobre in grado di evitare il no deal e far abbandonare lo stesso Internal Market Bill.

Gli incontri proseguiranno, già nella giornata odierna che con l’apporto del Ministro britannico per le Brexit, Michael Gove, il quale incontrerà Maros Sefcovic, uno dei vicepresidenti della Commissione europea. I due cercheranno di rimediare ad alcuni dei danni causati dalla pubblicazione del disegno di legge sui mercati da parte del Governo Britannico, che vedrebbe Londra violare l’accordo di ritiro di negoziato con Bruxelles lo scorso anno.

Il Regno Unito spera di intensificare e velocizzare le trattative, ma l’Unione Europea si oppone, a meno che non ottenga da Londra un impegno ferreo ed inderogabile sulla questione della “parità di condizioni” e della pesca. Lo stesso Boris Johnson ha fissato un ultimatum al 15 ottobre per trovare un accordo, altrimenti sarà “No Deal Brexit” dal punto di vista commerciale.

Da tutte queste situazioni sembra essere vicino un rischio di un No deal; ma quali saranno le conseguenze per gli europei ed in particolare per gli italiani? L’analista di TeleTrade ne individua 4 principali:

  1. Le conseguenze politiche
    Le conseguenze della Brexit sono state prima di tutto politiche. David Cameron ha annunciato le sue dimissioni da Primo ministro e da leader del Partito Conservatore. A sostituirlo è stata Theresa May, che ha tenuto le redini del Paese fino alla tarda primavera del 2019, quando ha lasciato la poltrona a Johnson. La Brexit ha dato nuova linfa alle richieste della Scozia, con Nicola Sturgeon che ha domandato a gran voce l’indizione di un referendum sull’indipendenza. Allo stesso tempo, il Governo spagnolo ha richiesto il controllo congiunto di Gibilterra mentre Sinn Fein ha ipotizzato l’unione di Irlanda e Irlanda del Nord. I partiti di estrema destra, soprattutto in Europa occidentale, hanno preso vigore grazie al significato stesso di Brexit.
  2. Le conseguenze finanziarie
    In un primo momento la Brexit ha reso i mercati finanziari più sensibili alle vulnerabilità della zona euro. La sterlina è scesa sui minimi di 30 anni e le borse mondiali hanno bruciato 2.000 miliardi in un solo giorno. Gli investitori si chiedono se, alla luce dello shock Brexit, i governi della zona euro avranno la volontà e la capacità di rafforzare il sistema dell’Unione monetaria.
  3. Le conseguenze economiche
    La vittoria del Leave ha avuto forti conseguenze economiche sui mercati mondiali e il Regno Unito ha perso il suo livello di rating AAA. La Bank of England ha iniziato a tagliare i tassi di interesse e ha preso altre misure di emergenza per aiutare a fermare la corsa dell’economia inglese verso la recessione.
  4. Le conseguenze commerciali
    C’è ancora molta incertezza su questo fronte visto che, lasciata l’Unione europea il Regno Unito ha dovuto rivedere i rapporti commerciali non soltanto con il blocco, ma con il mondo intero. Il periodo di transizione iniziato il 1° febbraio 2020 è servito proprio a dare a Londra e Bruxelles il tempo necessario per raggiungere un’intesa. Non è stato facile.

Cosa accadrà a chi vive nel Regno Unito?

Nel Regno Unito si trovano oggi tantissime persone provenienti da altri Paesi UE ed extra UE. Ai cittadini che vivono in Gran Bretagna da almeno 5 anni sarà concessa l’opportunità di richiedere (entro e non oltre dicembre 2020) un permesso di soggiorno permanente. A coloro che risiedono nel Paese da meno di 5 anni invece toccherà richiedere un permesso temporaneo che avrà validità soltanto quinquennale. I cittadini europei che non si metteranno in regola rischieranno di essere buttati fuori dal Regno Unito, stando a quanto emerso dalla linea dura di Johnson.

Cosa cambierà per i turisti?

Dal 1° gennaio 2021 scatteranno regole ancor più rigide. Entro tre giorni dall’arrivo, i turisti dovranno ottenere un visto elettronico che avrà una durata massima di tre mesi.
Per chi vorrà rimanere di più sarà necessaria la richiesta di permesso lavorativo. Per viaggiare (anche solo per svago) sarà indispensabile il passaporto biometrico mentre la carta d’identità non verrà più accettata.