Investimenti ESG, la chiave per attirare flussi è la collaborazione tra gestori e consulenti

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Secondo un recente studio, il numero di consulenti finanziari che parla di tematiche ambientali, sociali e di governance (ESG) con più di metà dei propri clienti è nettamente aumentato negli ultimi 12 mesi, passando dal 29% al 44%. Si tratta chiaramente di un incremento notevole. Ma facendo un passaggio ulteriore, gli investitori stanno realmente investendo in prodotti legati a queste tematiche?

Un divario tra consapevolezza e flussi effettivi

Secondo le aspettative, i fondi sostenibili e responsabili gestiranno €7.600 miliardi di asset in Europa nei prossimi cinque anni, con gli strumenti ESG che potrebbero triplicare gli asset in gestione e registrare un enorme aumento nella propria quota di mercato, passando dal 15% al 57% entro il 2025. Inoltre, stiamo assistendo al lancio di un numero crescente di fondi UCITS di tipo ESG, ma la quota di mercato resta bassa rispetto ai fondi tradizionali.

Per contestualizzare, i fondi UCITS azionari ESG rappresentano il 16% di tutti gli asset azionari in mano ai gestori, mentre la quota di mercato per i fondi ESG obbligazionari e multi-asset è inferiore al 10%. I fondi ESG alternativi sono in fondo alla classifica e rappresentano solo l’1% dell’universo di investimento per questa asset class.

Sebbene gli investimenti ESG possano ormai essere considerati a tutti gli effetti ‘mainstream’ dal punto di vista della consapevolezza e dell’accoglienza, rimangono ancora agli inizi per quanto riguarda i flussi effettivi in entrata, con il numero di prodotti sul mercato che cresce più rapidamente degli asset gestiti.

Le ragioni del divario

Abbiamo l’impressione che una delle ragioni principali da cui deriva questo divario si possa trovare nella natura stessa del concetto di ‘ESG’. Per alcuni, ad esempio, la componente ambientale (‘E’) può essere una preoccupazione molto più sentita rispetto a quella sociale (‘S’) o di governance (‘G’). Chiaramente, non c’è un modo giusto o sbagliato di approcciare questo tipo di investimenti.

Ad ogni modo, si tratta di un ambito che presenta una maggiore componente emotiva, se paragonato agli investimenti tradizionali. 50 anni fa, per la maggior parte degli investitori un’obbligazione o un’azione non chiamavano in causa opinioni e visioni personali come invece fanno oggi, quando si considera l’aspetto aggiuntivo delle implicazioni sul fronte ESG.

Se da un lato gli investitori finali a cui si rivolgono i consulenti sono sicuramente interessati e spesso ben informati riguardo alle questioni ESG, dall’altro costruire un prodotto che risponda a tutte le esigenze è una vera sfida, così come è molto difficile valutare le preferenze dei singoli clienti, soprattutto considerando che gli investitori retail hanno opinioni sempre più decise su questi temi. Ad esempio, ci siamo spesso accorti che i risparmiatori più giovani sembrano disposti a rinunciare a una parte dei rendimenti potenziali per poter investire con un impatto ESG più positivo.

Guardando avanti

In conclusione, quello che ci troviamo davanti è un fenomeno quasi unico, con una domanda estremamente ampia a fronte di acquisti effettivi relativamente limitati. Nel tempo, siamo convinti che l’industria del risparmio si evolverà per rispondere a questa sfida e che gli asset manager dovranno collaborare sempre di più con i consulenti per sviluppare prodotti su misura per la clientela. Proprio questa collaborazione potrebbe essere la chiave del successo, come lo è stata per i prodotti più tradizionali.

Anche se ci troviamo ancora agli albori dello sviluppo degli investimenti ESG, sembra evidente che la cooperazione con il team che si interfaccia con i consulenti garantirà un maggiore successo nel creare prodotti che rispondano a esigenze così variegate da parte degli investitori, e che siano quindi in grado di attirare anche maggiori flussi.