L’Europa rischia di rimanere indietro

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L’Irlanda e il Galles avevano indicato la strada il 20 ottobre scorso decidendo un nuovo lockdown rispettivamente di un mese e di due settimane. Negli ultimi giorni poi, le misure restrittive sono andate moltiplicandosi vista la violenta recrudescenza della pandemia da Covid-19 in Europa. Lockdown parziale in Germania e in Italia, coprifuoco nazionale e lockdown della Catalogna in Spagna, coprifuoco esteso in Belgio…

Benché la maggior parte delle misure non siano drastiche quanto il lockdown totale imposto in Francia, sono pur sempre tante e concomitanti a tal punto che scattano nuovi timori di una paralisi dell’economia e precipitano i mercati in territorio negativo. E così l’EuroStoxx 50 ha perso più del 7% nell’ultima settimana e più del 10% dai massimi di metà ottobre, tornando ad attestarsi sul livello di fine maggio. Gli indici con un maggior numero di titoli ciclici, come il Dax, sono stati colpiti ancora più duramente.

Queste nuove misure si abbattono come una cappa di piombo sull’economia europea che, superato il primo lockdown, stentava a trovare un nuovo slancio. Non c’è dubbio che saranno necessarie ulteriori misure di sostegno e di stimolo e, logicamente, gli occhi erano puntati sulla Banca centrale europea la cui riunione del Consiglio direttivo giovedì è stata una mezza delusione. Certo, visti i tempi, pochi si aspettavano che la BCE presentasse già misure forti anche se nulla le impediva di agire secondo una tempistica insolita, come è stata in grado di fare la Fed a marzo. Inoltre, mentre Christine Lagarde ribadiva che tutti gli strumenti erano sul tavolo, anticipando un aggiustamento significativo della politica monetaria nel corso della riunione del 10 dicembre, il presidente della banca centrale riconosceva de facto che ci vorrà più di un mese prima che venga predisposto un nuovo sostegno monetario. Alcuni ritenevano che la BCE fosse già in ritardo rispetto alla situazione economica europea e all’azione svolta dalla Fed, e non si è fatto nulla per accelerare i tempi.

Sarebbe però ingiusto far convergere tutte le critiche verso la BCE. Da un lato perché, accennando alla volontà di “sfoderare il bazooka” a dicembre, l’istituzione comunica agli Stati che possono implementare dei piani di aiuto che saranno sostenuti dalla politica monetaria. Trattandosi poi in secondo luogo degli Stati, la palla è più che mai nel loro campo. Il piano di stimoli da 750 miliardi di euro votato quest’estate su proposta della Commissione europea andava nella giusta direzione, in particolare per quanto riguarda la mutualizzazione, anche se sembra ora poco tarato rispetto alle esigenze. Sarebbe ora opportuno discutere di un secondo piano di aiuti. Sembra tuttavia molto ipotetico, visto tra l’altro che non è ancora iniziato il processo di ratifica del primo piano da parte dei vari parlamenti nazionali.

Mentre l’Asia, finora risparmiata dalla seconda ondata, sta emergendo come il grande vincitore della crisi, e gli Stati Uniti alla fine voteranno un secondo piano di stimoli la cui portata e modalità dipenderanno dal vincitore delle elezioni presidenziali, l’Europa rischia ancora una volta di rimanere indietro. Certo, le restrizioni imposte sono nel complesso meno drastiche di quelle della scorsa primavera e il rallentamento dell’economia sarà probabilmente più moderato. Ma questo rallentamento andrà a impattare un’economia ancora molto fragile, ben lontano dall’essersi ripresa dal primo lockdown. È quindi probabile che il potenziale di crescita dell’Europa sia ridotto per molto tempo. Per evitarlo, la risposta della BCE a dicembre e le iniziative degli Stati dovranno essere massicce nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.