Forward Guidance Fiscale

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L’attuale quadro di sorveglianza fiscale dell’UE non è probabilmente adatto a guidare i governi attraverso la loro ” exit strategy” dallo stimolo politico straordinario in corso. Esploriamo alcune soluzioni.

Questa settimana esploriamo la possibile ” exit strategy” dallo straordinario stimolo fiscale e monetario in corso. Basandoci sulla recente ricerca di Olivier Blanchard, riteniamo che l’attuale quadro di sorveglianza fiscale dell’UE potrebbe non essere adatto a guidare i governi verso un percorso ottimale per un consolidamento fiscale che garantisca la sostenibilità del debito pubblico, preservando al contempo la ripresa economica. Tuttavia, le soluzioni preferite da Blanchard – passando a una valutazione discrezionale da parte della Commissione con un forte potere esecutivo o utilizzando l’attuale quadro OMT della BCE – non ci sembrano politicamente fattibili, almeno non senza passare prima attraverso una dolorosa fase di volatilità e di tensione sugli spread sovrani. Continuiamo a pensare che una “fiscal forward guidance” volontaria, cioè un impegno ex ante da parte dei governi ad avviare una politica fiscale più restrittiva una volta raggiunte determinate soglie numeriche sulla ripresa (ad esempio, la disoccupazione che scende al di sotto di un livello prestabilito) offrirebbe alla BCE una visibilità sufficiente a mappare la propria normalizzazione, minimizzando al contempo i rischi di turbolenze di mercato. Non esiste un sistema perfetto, se non altro perché la politica fiscale rimane essenzialmente il prodotto di decisioni democratiche, mentre la politica monetaria è una politica tecnocratica, e ci aspetteremmo un bel po’ di clamore sulla via d’uscita, ma il dibattito a livello istituzionale deve iniziare prima che l’emergenza pandemica sia finita.

Anche se si arrivasse a un accordo di libero scambio nei prossimi giorni, il Regno Unito avrà scelto una delle opzioni più aggressive tra quelle disponibili dopo Brexit per modellare il suo rapporto con l’UE

Mentre scriviamo un accordo deve ancora essere concordato tra il Regno Unito e l’UE. Questa “corsa contro il tempo” per fornire un quadro organizzato sulle relazioni economiche tra il Regno Unito e l’Unione europea è un dramma, ma l’accordo di libero scambio di bassa qualità, che è in corso di dolorosa negoziazione, sarebbe ancora uno dei peggiori accordi tra tutti quelli che si potevano immaginare dopo Brexit. Un ALS sarà ben lungi dall’offrire degli “scambi commerciali senza attriti” tra UE e il Regno Unito, che era l’obiettivo iniziale del governo britannico subito dopo il referendum.
Ovviamente sarebbe meglio per il Regno Unito – e in misura minore per l’UE – se si raggiungesse un accordo, per evitare che le tariffe doganali vengano imposte (l’estensione delle tariffe britanniche sui prodotti alimentari importati nel Regno Unito potrebbe far aumentare immediatamente il livello complessivo dei prezzi al consumo dello 0,5%), ma anche con un ALS il danno sarà significativo. Rimaniamo sconcertati dal fatto che il negoziato sia ancora imperniato sulla pesca, che contribuisce per lo 0,1% al PIL britannico, mentre ogni tentativo di assicurare la posizione dei servizi finanziari britannici nell’UE è stato abbandonato mesi fa (questo settore contribuisce per circa il 10%). La politica ha le sue ragioni e i suoi costi economici.