Lavorare o non lavorare, questo è il problema …

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Di tutte le recenti tendenze economiche, la lenta crescita dell’occupazione è forse la più importante da osservare, afferma Sonal Desai, CIO, Franklin Templeton Fixed Income, per tre motivi:

primo, perché frena la crescita e alimenta le pressioni inflazionistiche; secondo, perché rende più difficile ridurre la disuguaglianza del reddito; terzo, perché mina la futura crescita dell’occupazione rallentando lo sviluppo di competenze nella forza lavoro e spingendo le aziende verso l’automazione.

Cosa sta accadendo nel mercato del lavoro statunitense, e perché? Mi soffermerò su cinque questioni chiave.

  • Minore partecipazione alla forza lavoro

Mentre la domanda di lavoro registra una ripresa sostenuta, molti lavoratori non sembrano voler tornare in attività. La partecipazione alla forza lavoro ha subito una flessione prolungata tra il 2000 e il 2015, ha ristagnato per alcuni anni e ha infine iniziato una timida ripresa nel 2018-19, ma i lockdown indotti dalla pandemia l’hanno mandata nuovamente al tappeto e adesso sembra incapace di rialzarsi. Ciò è dovuto in parte ai lavoratori più anziani, che hanno deciso di andare in pensione prima (la forza lavoro di età superiore ai 65 anni conta circa 1 milione di lavoratori in meno rispetto al trend del 2007-2019), ma anche ai lavoratori più giovani che rimangono in panchina; il tasso di partecipazione delle persone nel fiore dell’età lavorativa (dai 25 ai 54 anni) è di 1,5 punti percentuali al di sotto del picco pre-COVID.

  • Aumento dei cambi di lavoro

Proprio come nel settore immobiliare, nel mercato del lavoro il prezzo lo fanno i venditori. I posti vacanti negli Stati Uniti si aggirano intorno agli 11 milioni e, viste le molte opportunità di lavoro offerte e la concorrenza limitata, aumentano i lavoratori che danno le dimissioni per trovare un nuovo impiego: eccettuati i settori dei servizi finanziari e dell’informazione, i tassi di abbandono sono nettamente superiori alla media del 2017-2019, e sono positivamente correlati all’abbondanza di posti disponibili (anch’essi superiori alla media del 2017-2019). I tassi di abbandono sono particolarmente elevati nei settori del tempo libero e dell’ospitalità, ma ben al di sopra dei livelli pre-pandemici anche nel manifatturiero, nel commercio al dettaglio e nel commercio all’ingrosso. Dimettersi paga: gli aumenti di stipendio ottenuti da chi ha cambiato lavoro sono maggiori di quelli spuntati da chi è rimasto nella posizione che aveva.

  • Aumento del lavoro autonomo

A peggiorare la situazione (per le aziende), il lavoro autonomo è aumentato notevolmente. Il Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti segnala un incremento di un milione di lavoratori autonomi tra novembre 2020 e settembre 2021. Le denunce di inizio attività sono aumentate bruscamente. Di conseguenza, persino in una fase in cui le imprese concedono flessibilità di orario e di luogo di lavoro, molti preferiscono mettersi in proprio. Questo boom imprenditoriale riduce ancora di più il bacino di potenziali lavoratori a cui le aziende possono attingere.

  • Quale carenza di competenze?

Alcuni analisti e opinionisti hanno attribuito la colpa della lenta ripresa dell’occupazione a una carenza di competenze, sostenendo che la pandemia ha modificato la composizione settoriale dell’economia in modo tale che alcune competenze molto richieste dalle imprese due anni fa adesso non lo sono più. Questo ragionamento non ha molto senso, dato che i posti vacanti sono particolarmente numerosi nei settori del tempo libero e dell’ospitalità, dove la maggior parte delle mansioni non richiede competenze specializzate. Le imprese, dal canto loro, disperano a tal punto di trovare lavoratori che sono disposte a offrire formazione ai nuovi assunti.

  • Aumento dei sussidi pubblici

Altri fattori che incidono negativamente sull’offerta di lavoro potrebbero essere legati al COVID: persone che temono di contagiarsi al lavoro o restie a vaccinarsi o impossibilitate a provvedere alla cura dei figli. Il fattore forse più importante, tuttavia, è la solida posizione finanziaria in cui le famiglie si sono trovate alla fine della pandemia, con elevati livelli di attività finanziarie e di risparmio; molti nuclei familiari beneficiano ancora di generose sovvenzioni pubbliche.

Anche se le indennità supplementari di disoccupazione federali di 300 dollari alla settimana sono scadute il 5 settembre, quelle statali rimarranno in vigore per un periodo compreso tra 16 e 26 settimane. Queste indennità sono pari in media a 319 dollari, ossia il 26% del salario medio settimanale. Inoltre, 39 milioni di famiglie statunitensi si qualificano per il credito d’imposta integrativo per i figli a carico del 2021; di conseguenza, le famiglie con due bambini, ad esempio, potrebbero ricevere 500-600 dollari in più (250-300 dollari a bambino) al mese tra luglio e dicembre. Questo porta il tasso di copertura salariale al 36% circa, e il governo prevede di aumentarlo ed estenderlo. Il Congresso ha anche stanziato circa 46 miliardi di dollari per l’assistenza abitativa alle famiglie a basso reddito, e il piano “Build Back Better” dell’amministrazione Biden comprende ulteriori forme di assistenza, come il finanziamento di due anni di community college, l’ampliamento della copertura di Medicare e Medicaid, dodici settimane di congedi familiari retribuiti e finanziamenti pubblici per l’edilizia popolare.

L’aumento dell’inflazione ha innescato un significativo adeguamento delle prestazioni previdenziali al costo della vita, con un ritocco del 5,9% a partire da gennaio 2022 (il più elevato dall’aumento del 7,4% effettuato nel 1982),1 un provvedimento che interessa quasi 50 milioni di pensionati e le persone a loro carico. È opportuno che le pensioni siano protette dall’inflazione, ma questo significa anche che l’aumento dei prezzi non indurrà gli anziani a rientrare nella forza lavoro. Il piano Build Back Better promette intanto ulteriori sussidi alle famiglie, alcuni dei quali scoraggeranno il ritorno in attività perché verrebbero interrotti in seguito all’accettazione di un posto di lavoro.

In breve, con un generoso sostegno governativo è più facile – e razionale – che molte persone decidano di non lavorare. Diverse persone rimangono fuori dalla forza lavoro perché se lo possono permettere.

Implicazioni per gli investimenti

Tutti questi fattori suggeriscono che le dinamiche del mercato del lavoro rimarranno sottotono ancora per qualche tempo. Negli ultimi vent’anni il fattore lavoro ha perso potere contrattuale e la sua quota di reddito è diminuita a favore dei profitti. Adesso la situazione sta cambiando, anche a causa dell’arretramento della globalizzazione e dell’atteggiamento amichevole del governo verso i sindacati. Questo non è necessariamente un male, ma nel breve periodo ha effetti inequivocabilmente inflazionistici. Vero è che non siamo negli anni ’70, quando i salari erano spesso indicizzati all’inflazione passata; tuttavia, oggi i datori di lavoro devono aumentare le retribuzioni per attirare i lavoratori, e hanno un pricing power sufficiente per trasferire i maggiori costi sui prezzi.

Le autorità statunitensi stanno tacitamente abbandonando il tema dell’“inflazione transitoria”, e la probabilità che i prezzi e i tassi d’interesse continuino a salire è più elevata che negli ultimi anni. Ciò corrobora le implicazioni per gli investimenti su cui spinge da tempo il nostro team Franklin Templeton Fixed Income: limitare l’esposizione alla duration e puntare sulla solidità dei fondamentali per selezionare opportunità in obbligazioni corporate high yield, prestiti bancari, municipal bond e mercati emergenti.

Su un orizzonte di medio termine le implicazioni sono più complesse. Se le deboli dinamiche del mercato del lavoro si consolidano, la crescita potenziale tenderà a diminuire; l’innovazione tecnologica e l’automazione, dal canto loro, spingeranno nella direzione opposta, dando impulso alla produttività. L’effetto netto è al contempo incerto e importante: con il rallentamento della crescita economica, gli alti livelli di debito e le crescenti passività previdenziali metterebbero a repentaglio la stabilità finanziaria, provocando una significativa volatilità dei prezzi degli asset. Una crescita economica più sostenuta avrebbe un effetto stabilizzante, ma la rapida innovazione tecnologica, abbinata alla minore partecipazione alla forza lavoro e ai maggiori sussidi pubblici, potrebbe consolidare e forse aggravare la disuguaglianza dei redditi.

Un’accelerazione dell’offerta di lavoro sarebbe la migliore garanzia di una crescita economica più robusta e sana.

Per il momento, tuttavia, gli investitori devono prepararsi a un’offerta di lavoro stagnante, a un’inflazione persistente e a una volatilità finanziaria crescente.