Inflazione: Ho tante domande, ma poche risposte

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Le stime, si sa, sono affette da incertezza. Ci mancherebbe. Infatti, a gennaio 2021 gli analisti di Wall Street prevedevano una inflazione media negli Stati Uniti del 2.1% per il 2022. La previsione attuale è 4.8%. Nelle scienze sociali è assolutamente tollerabile questo errore di previsione, ma pensate se lo fosse anche nelle scienze naturali. Se invece di segnalare 210 metri, l’altimetro di un aereo in fase di atterraggio segnalasse 480 metri. Non finisce qui. Nelle scienze naturali, una volta osservato l’errore, lo studioso si chiede il perché, cerca di capire, di migliorare il modello, di calibrare lo strumento. Non è sempre così nelle scienze sociali, dove razionalità e ideologia danno vita a un intreccio di interessi, tanto pericoloso quanto ipocrita. “Se nascondi la tua ignoranza, nessuno ti biasimerà e non imparerai mai” scriveva Ray Bradbury nell’utopia di Fahrenheit 451.

A che punto siamo, quindi, nelle scienze sociali? In sintesi, le banche centrali che per decenni hanno inondato il sistema bancario di liquidità, si trovano finalmente in un regime di inflazione in aumento. C’è stupore nei salotti di Washington, c’è incertezza sulle cause in quelli di Sonnenmannstrasse, c’è perplessità sulla durata a Threadneedle Street. Ma perché proprio ora che la crescita è in ripresa? Mai una gioia, direbbe un mio amico alpinista del Canton Ticino. Proprio ora perché per una volta la politica fiscale e quella monetaria si sono messe d’accordo sulla ricetta anti-Covid. Per una volta hanno deciso di sostenere sia il sistema finanziario – spina dorsale delle economie – come anche le famiglie e le imprese. E lo hanno fatto in maniera diretta, senza il filtro delle banche e senza quella imbarazzante narrazione di austerità di Lagardiana memoria che faceva da paradossale sipario alla crisi del debito sovrano di dieci anni fa. Sotto questo punto di visto, il grande Milton Friedman è più attuale che mai: Per anni noi economisti ci siamo chiesti perché l’inflazione stentasse a riprendersi, nonostante la strategia di iper-liquidità e di tassi negativi. A mio avviso, la risposta sta nell’oggetto della nostra analisi, cioè guardavamo alla liquidità e alla massa monetaria nel sistema bancario, non a quella nelle tasche di Mario Rossi (non me ne voglia l’immancabile omonimo).

Le mie risposte ahimé finiscono qui. Non così le mie domande:

  1. I prezzi delle materie prime sono aumentati in media del 10% da inizio anno, il che equivale a +54% negli ultimi dodici mesi, periodo di riferimento per il calcolo degli effetti sull’inflazione. Perché dovrebbe scendere l’inflazione?
  2. In Italia i prezzi al produttore sono aumentati del 27.8% su base annua, mentre la variazione dei prezzi al consumo è stata +4.2% a dicembre. Questa enorme forchetta tra PPI e CPI si osserva in tutte le economie cosiddette “avanzate”. Perché dovrebbe scendere l’inflazione?
  3. Non si osserva invece un calo significativo delle pressioni sul lato dell’offerta, i cosiddetti “colli di bottiglia”. Invito il lettore a consultare il sito della Fed di New York per un approfondimento del tema. Perché dovrebbe scendere l’inflazione?
  4. Il mercato del lavoro è ormai in piena occupazione con evidenti carenze di forza lavoro in diversi settori dell’economia. È lecito pertanto attendersi una accelerazione dei salari medi. Perché dovrebbe scendere l’inflazione?