L’inflazione non se ne andrà (rapidamente) e spingerà la Fed a intervenire

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Il report CPI dello scorso mese ha evidenziato un andamento già noto, con i beni durevoli che hanno dato (+1,2%) il maggior contributo all’aumento dei prezzi. All’interno della categoria, le auto usate sono state la principale anomalia, con un aumento del 3,5%. Nel complesso, l’inflazione Nei servizi si è mantenuta a un livello relativamente modesto, intorno allo 0,3%, ma l’inflazione relativa ai costi abitativi – notoriamente difficile da calcolare dato il numero di persone che hanno una casa di proprietà – è risultata più elevata dei valori abituali.

L’inflazione nel 2021 è in gran parte stata dovuta allo shock positivo della domanda, in seguito alle diverse misure di stimolo fiscale introdotte nella prima metà dell’anno e alla persistente carenza di chip semiconduttori utilizzati per la produzione di beni, come le automobili. I mesi del secondo trimestre dello scorso anno sono stati quelli con l’inflazione più alta, ma con il quarto trimestre abbiamo assistito al ritorno a un’inflazione indiscutibilmente elevata, che sta scontando più di un semplice intoppo nella catena di approvvigionamento globale.

Il dietrofront della FED

Fino allo scorso anno, i mercati non sarebbero stati sorpresi nel vedere una banca centrale, dopo un anno di inflazione al 7%, cercare di aumentare i tassi (a eccezione della Banca Centrale della Turchia). Ma la Fed ha cambiato bruscamente il suo approccio, passando da un “va tutto bene perché l’inflazione è transitoria” nel settembre 2021 al messaggio secondo cui “l’inflazione rappresenta davvero un grave rischio” lanciato da Jay Powell durante l’audizione per la sua conferma la settimana scorsa. Cosa ha provocato questo cambiamento da parte della Fed?

  1. I problemi della supply chain non stanno trovando soluzione abbastanza rapidamente, e i prezzi dei beni durevoli continuano ad aumentare, mentre la Fed e altre banche centrali si aspettavano che a questo punto fossero in fase correttiva.
  2. Il tasso di disoccupazione è sceso molto velocemente e il livello di popolazione tornata attiva è stato piuttosto scarso.

La Fed teme che si stia radicando nell’economia una visione orientata a uno scenario di inflazione elevata. I prezzi dei beni sono ancora alti e in aumento, mentre i salari in forte crescita in alcune aree stanno facendo pressione sui margini di profitto e, potenzialmente, sui prezzi. Ciò potrebbe riflettersi in parte nei numeri dell’inflazione. L’aumento dei prezzi per ristoranti e negozi per la cura della persona – dove il lavoro è tendenzialmente pesante e con salari relativamente bassi – ha subito un’accelerazione nel quarto trimestre, nonostante lo scadere dei sussidi di disoccupazione maggiorati a settembre.

E adesso?

A nostro parere la Fed avrebbe potuto e voluto aspettare più a lungo, nel 2022, prima di alzare i tassi, per vedere a che punto l’inflazione si sarebbe stabilizzata. Ma ora sembra prendere molto più seriamente i rischi d’inflazione e un aumento dei tassi sembra possibile già da marzo. Anche i mercati hanno recepito il messaggio, e i future sui Fed Funds prevedono tra i tre e i quattro rialzi da parte della Fed nel corso dell’anno.

La Fed sembra anche pronta a introdurre un inasprimento quantitativo (QT) già nella seconda metà di quest’anno. Con il QT la Fed lascia che i titoli in scadenza escano dal suo bilancio senza sostituirli, drenando liquidità dal sistema finanziario e inasprendo le condizioni generali.

La portata di questa potenziale stretta è poco chiara, perché la Fed non ha detto quanto sarà rapida l’uscita dai titoli o quale dovrebbe essere la dimensione finale del suo bilancio. Sappiamo dal meeting del FOMC di dicembre che il processo avverrà “prima” e “più velocemente” di quanto avvenuto nell’ultimo ciclo, ma l’importo totale della “fuga” probabilmente sarà solo l’equivalente di un aumento dei tassi all’anno per tutto il tempo che la Fed vorrà.

Le nostre previsioni sui mercati rimangono sostanzialmente invariate

Questo cambiamento nella strategia di comunicazione della Fed – che determina un cambiamento nella nostra prospettiva sui rialzi dei tassi di quest’anno, da zero a tre– non va a modificare in maniera sostanziale le nostre previsioni sui mercati in generale per quest’anno. Continuiamo a non vedere uno scenario in cui le azioni della Fed vadano a inasprire drasticamente le condizioni finanziarie. Questo rende il dibattito sulla probabilità di un solo aumento o tre aumenti (o anche quattro) dei tassi ben lungi dall’essere una questione di vita o di morte per l’economia.

Sarà invece importante sapere a che punto e quando la Fed arresterà i rialzi, se nel 2023 o nel 2024. Nelle ultime settimane, la Fed e il mercato sono sempre più allineati su queste scadenze, con la Fed che prevede di essere al di sotto del punto di equilibrio del 2,5% alla fine del 2024. Qualsiasi valore al di sotto di quel tasso sarebbe, agli occhi della Fed, ancora da considerarsi come politica accomodante.

Il mercato dei fed funds non è il solo ad aver preso atto del cambiamento nel posizionamento della Fed. I mercati azionari hanno iniziato il 2022 con un brusco passaggio dai titoli difensivi e a maggiore crescita a titoli ciclici e value. I titoli dell’energia sono in crescita verticale, mentre i titoli finanziari stanno beneficiando di tassi più alti e di una curva dei rendimenti leggermente più ripida.

I mercati del credito stanno performando bene nonostante la volatilità dei tassi. Per esperienza sappiamo, anche da prima della pandemia, che a periodi di forte aumento dei tassi seguono solitamente rendimenti migliori sui mercati azionari e del credito. Prevediamo che l’impennata dell’inizio del 2022 non farà eccezione.

Nella nostra view per il 2022 avevamo previsto che una forte crescita economica e una leggera disinflazione avrebbero spinto i tassi d’interesse reali più in alto e aiutato i segmenti del mercato che recentemente hanno sottoperformato a sovraperformare – compresi i titoli value della zona Euro e degli Stati Uniti. Possiamo tranquillamente dire che non ci aspettavamo che ciò avvenisse in tempi così rapidi. Ma riteniamo ci sia ancora spazio di crescita, considerando la nostra visione secondo cui la curva dei Treasury americani potrebbe diventare ancora più ripida, con un rendimento a 10 anni vicino al 2,5% per l’anno.

La variante Omicron rimane un fattore di rischio per la crescita economica. I paesi che stanno tentando di arginare il virus con rigide misure di contenimento potrebbero avere ripercussioni economiche nel primo trimestre, mentre le ondate di Covid continuano a propagarsi in tutto il globo. Non prevediamo che questa ondata possa avere gli stessi effetti sull’inflazione negli Stati Uniti delle due precedenti, influenzate dalla mancanza di stimoli fiscali per le famiglie statunitensi. Ma i problemi per i produttori e per la supply chain a livello globale potrebbero contribuire a mantenere i prezzi dei beni di consumo più elevati a lungo.

La variante Omicron e le preoccupazioni per l’inasprimento delle policy rafforzano la nostra convinzione che il 2022 avrà un andamento “più lento” del 2021 “…ma ancora abbastanza veloce”, e nel complesso ciò dovrebbe andare a vantaggio degli investitori con portafogli diversificati e un a corretta gestione del rischio.