L’80% dei cicli di rialzo della FED è finito in recessione

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Lo spirito dei mercati finanziari si è un pò raffreddato negli ultimi giorni, dopo i forti recenti progressi con il tentativo di allontanare il focus dal conflitto in Ucraina che si è rivelato prematuro. Purtroppo, non c’è nessuna risoluzione in vista in tempi brevi, cosa che, provando a lasciare tra parentesi i tragici risvolti umani, significa che i mercati dovranno continuare a fare i conti con una serie di fattori: un’elevata incertezza, prezzi delle materie prime sostenuti e rischi di stagflazione incombenti per l’economia globale, in particolare per quanto riguarda le economie europee. Inoltre, nonostante un’iniziale reazione positiva dei mercati azionari all’ultima riunione della Fed, i dubbi sulla capacità della Banca centrale statunitense di progettare il cosiddetto “atterraggio morbido” – che già erano in luce presenti sul mercato obbligazionario – si sono nuovamente evidenziati.

L’impennata dei prezzi dell’energia legata al conflitto lascia intendere che l’inflazione rimarrà più alta più a lungo – con il tanto atteso inflection point ritardato – ma implica anche una compressione più profonda dei redditi reali. Sarà difficile per la Fed, che segue l’andamento della curva, calibrare una risposta che riesca a contenere l’inflazione senza danneggiare troppo la crescita ed il mercato del lavoro. I mercati obbligazionari sono stati sempre più scettici mentre il differenziale tra i rendimenti USA a 2 e 10 anni si è ridotto ulteriormente a circa 20 punti base negli ultimi giorni. Se da un lato non esiste una relazione meccanica tra un’inversione della curva ed una fase recessiva, dall’altro un’inversione avrebbe come minimo un effetto psicologico negativo per quanto riguarda i timori di recessione. Anche l’esempo della storia non fornisce tanto conforto, mostrando come i cicli di rialzo della Fed siano finiti con una recessione l’80% delle volte dagli anni Settanta.