La crisi Ucraina non scalfisce una antica verità, nel lungo termine le azioni restano una certezza

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Le cronache dall’Ucraina sono drammatiche, nel fumo delle esplosioni non si distinguono neppure i contorni della politica, gli stessi esperti di relazioni internazionali sono cauti nelle previsioni, nessuno azzarda pronostici sulla durata e sull’intensità del conflitto, l’auspicata tregua potrebbe essere preludio alla ripresa dei negoziati come potrebbe parimenti significare tempo per riorganizzare le rispettive strutture militari.

Anche parlare di un ritorno della guerra fredda tra est e ovest è prematuro, un eventuale avvicendamento di governo a Mosca cambierebbe nuovamente le premesse.

L’incertezza politica ottunde la visibilità del mercato, la volatilità è nebbia che impedisce la chiara visuale della strada. Fino ad ora la reazione dei mercati è stata nervosa eppure, considerando la drammaticità del momento, tutto sommato composta. L’immediato futuro dei mercati è però imprevedibile come quello militare e politico.

Nel breve termine l’attenzione si concentra sui prezzi delle materie prime, sull’inflazione, sulla modulazione del ciclo di rialzo dei tassi. L’allontanamento nel tempo della auspicata de-escalation si scarica sul prezzo delle materie prime, sulle attese di inflazione e, in ultimo, su ulteriori cedimenti dei listini che potranno essere considerevoli.

Nonostante la recrudescenza del prezzo di gas e petrolio, la Federal Reserve non ha ragioni per non proseguire sul sentiero tracciato, negli Stati Uniti l’inflazione “core” è oltre il livello obiettivo in tutti i settori, Powell ha fatto riferimento a un incremento di 25 punti base nella riunione di metà marzo che, atteso e scontato, non provocherà scossoni. In Europa l’inflazione ha toccato il +5,8%, un livello record da quando è cominciata la rilevazione, in larga misura riconducibile ai maggiori costi dell’energia.

I prezzi di gas e petrolio sono cresciuti del 32%, quelli degli alimentari di oltre il 6% ma, anche escludendo le due componenti volatili, l’inflazione di base è comunque cresciuta a 2,9% rispetto al 2,4% di gennaio. Le cose non miglioreranno con il proseguimento della guerra che sta scompaginando le carte della politica monetaria.

A Francoforte sanno bene che una stretta costituirebbe un freno all’attività economica, alle prese con l’aumento dei costi e l’indebolimento della fiducia di famiglie e imprese. Nel medio periodo l’obiettivo resta la normalizzazione della politica monetaria ma è probabile che nella riunione del 10 marzo la decisione sarà spostata più in là nel tempo.

In una fase così delicata sarà importante anche la cura nella scelta delle parole, in mercati così sensibili la comunicazione diventa importante come l’azione. In ogni caso è certo che, tra le economie avanzate, il prezzo più alto della guerra lo pagherà l’Europa, la sua dipendenza energetica e i rapporti commerciali con la Russia si traducono in minore crescita e più inflazione: vulnerabilità che l’euro sta già scontando, contro il dollaro è tornato a livelli non visti da due anni.

Il rischio è alto, le borse sperimenteranno pessime giornate ma la storia dimostra che le azioni, come i giunchi del proverbio siciliano, hanno resistito alle guerre meglio delle obbligazioni.

La settimana scorsa è stato pubblicato il rapporto annuale di Credit Suisse sui rendimenti delle classi di attivo, da anni curato in collaborazione con i professori Elroy Dimson, Paul Marsh, Mike Staunton. I dati aggiornati del nuovo rapporto confermano quanto sapevamo, negli ultimi 122 anni le azioni globali hanno dato un rendimento reale annualizzato del 5,3%, le obbligazioni del 2%, gli strumenti monetari 0,7%.

I curatori del Global Investment Returns Yearbook stimano che, in prospettiva, il premio al rischio azionario sarà attorno a 3,5%, al di sotto del valore storico di 4,6%, un’ipotesi coerente con quella della minore crescita nel lungo periodo.

L’analisi sugli effetti dell’inflazione nei mercati è stata condotta in 21 paesi dotati di serie storiche lunghe 122 anni. Lasciando fuori gli anni “fuori scala” dell’iperinflazione in Germania e Austria, il rendimento reale medio delle obbligazioni varia inversamente all’inflazione, debole nelle fasi di alta inflazione, alto in quelle deflazionistiche.

Nei periodi di disinflazione le azioni mostrano un rendimento reale di poco meno il tredici per cento, inferiore al diciannove delle obbligazioni, “in tutti gli altri intervalli” scrivono Dimson, Marsh e Staunton “le azioni hanno sovraperformato le obbligazioni, con un premio medio rispetto alle obbligazioni di poco più del 7%”.

Le azioni resistono meglio anche nei tempi di guerra. Indecifrabili e irrazionali nel breve termine, nei momenti di flesso e nel lungo periodo i mercati azionari esprimono maggiore saggezza, nel breve termine sono “macchine elettorali che si alleano su quali aziende sono più popolari” scriveva Benjamin Graham “ma sono bilance che valutano la sostanza di un’azienda nel lungo periodo.

Pur tenendo conto degli esiti di medio termine, nella grande incertezza di queste ore preferiamo raccomandare prudenza e l’adattamento, non lo stravolgimento, dei portafogli. La de-dollarizzazione del sistema finanziario globale è ancora lontana: un po’ per il tradizionale ruolo di “porto sicuro” svolto dal dollaro e dal Treasury, un po’ per la diversa esposizione degli Stati Uniti alla crisi in Europa, gli asset americani sono preferibili a quelli europei.

L’edizione del Global Investment Returns Yearbook di quest’anno mette in evidenza i vantaggi della diversificazione che “storicamente, ha molto migliorato il profilo rischio rendimento” dei portafogli. Le fasi di alta volatilità suggeriscono il ricorso alla gestione attiva e alla flessibilità: forse la diversificazione non è “l’unico pasto gratis nella finanza”, come diceva Markowitz, ma resta lo strumento più efficace per gestire il rischio complessivo dei portafogli. Se nei momenti di crisi e di mercati negativi la correlazione tra le asset class tende ad aumentare, si tratta di “fattori di breve termine che non dovrebbero costituire un eccessiva apprensione per gli investitori di lungo periodo”.

Ribadiamo quanto scritto la settimana scorsa, “keep calm and stay invested”, il tempo, non il “timing”, è il vero segreto che custodisce il risparmio.