Terminato un trimestre difficile, potrebbe arrivare un altro schiaffo

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L’aumento delle proiezioni sull’inflazione ha visto i rendimenti a breve termine continuare a salire bruscamente, mentre nell’ultima settimana i commenti delle Banche Centrali si sono spostati in una direzione falco.

L’aumento dei prezzi dell’energia ha portato l’inflazione oltre il 7% nella zona euro e oltre l’8% negli Stati Uniti, inducendo la Fed a parlare di concentrare nelle fasi iniziali il grosso delle attività di normalizzazione, con l’idea che potrebbe aumentare i tassi di 50 punti base nelle prossime riunioni del FOMC di inizio maggio e giugno. Tuttavia, è probabile che una stretta sui redditi dei consumatori renderà la crescita statunitense piuttosto piatta nel secondo trimestre.

Con la Fed che ha anche in programma di iniziare la riduzione del bilancio, ci sembra che i mercati rischino ora di prezzare un’eccessiva stretta monetaria a breve termine.

Nel frattempo, la curva dei rendimenti USA ha continuato ad appiattirsi, portando alcuni modelli a segnalare un aumento dei rischi di recessione per il 2023 o il 2024. La Fed sembrerebbe poco persuasa nel vedere nella curva dei rendimenti un predittore di recessione, preferendo concentrarsi sullo spread front-end tra gli attuali tassi e le proiezioni di mercato dei tassi a 18 mesi.

Siamo ampiamente d’accordo con questa valutazione e riteniamo che la crescita degli Stati Uniti continui a sembrare sana, anche se il prossimo trimestre potrebbe mostrare un certo appiattimento. In generale, gli Stati Uniti continuano a essere un’eccezione e pensiamo che questo porterà a una continua divergenza nei tassi globali e a una sovraperformance del dollaro nel medio termine.

Nell’Eurozona, è probabile che la crescita si contragga nel secondo trimestre, anche supponendo che la Russia non chiuda i rubinetti del gas, costringendo la Germania e gran parte dell’Europa centrale a uno shutdown industriale.

Le discussioni con i policymaker continuano a suggerire che è improbabile che la BCE cambi la tempistica in termini di politica monetaria e cheun aumento dei tassi da parte dell’Eurotower sia improbabile fino a dopo la fine degli acquisti del QE. Quindi, potrebbe esserci un’accelerazione nel ritmo del tapering del programma QE, ma qualsiasi movimento della BCE sui tassi sembra improbabile fino alla fine del terzo trimestre. A quel punto, è probabile che l’inflazione si diriga verso il basso. Pertanto, potremmo essere testimoni di un momento di massima pressione sulle banche centrali, mentre l’inflazione raggiungerebbe livelli finora inimmaginabili.

Tuttavia, quando il delta del CPI diventerà negativo nei prossimi mesi, il contesto potrebbe apparire più favorevole, soprattutto se la crescita sarà poco brillante nel corso del primo semestre. Di conseguenza, pensiamo che le aspettative di rialzo dei tassi della BCE si siano spostate troppo in là, con 200 punti base di stretta prima della fine del 2023. Alla luce di ciò, abbiamo aumentato l’esposizione lunga ai tassi in euro, cercando di sfumare la recente mossa.

Un cambiamento nella leadership della BCE potrebbe, naturalmente, alterare le prospettive della politica della stessa. Pensiamo che ci possa essere una discreta possibilità che Macron guardi a Lagarde come Primo Ministro francese sulla scia delle elezioni, dalle quali sembra molto probabile uscirà vincitore.

Se ci fosse un nuovo Presidente della BCE, pensiamo che sia altamente probabile vedere un candidato tedesco prendere il suo posto e, data l’avversione nazionalistica all’inflazione diffusa nella società tedesca, potrebbe creare il rischio di una BCE falco.

Riteniamo tuttavia che un tale cambiamento di rotta potrebbe anche rappresentare una minaccia per la frammentazione dell’UE. Di conseguenza, quando gli acquisti di asset sono in fase di liquidazione, siamo inclini a mantenere una posizione cauta sulla periferia dell’Unione, vedendo i rischi asimmetrici verso spread più ampi. La stessa frammentazione dell’UE impone anche una restrizione implicita alla velocità di normalizzazione delle politiche sui tassi d’interesse.

I timori per il rallentamento della crescita hanno anche pesato sulle prospettive del Regno Unito ed è stato interessante vedere che la Banca d’Inghilterra ha cercato di nuotare controcorrente, cercando di dare priorità ai rischi di crescita rispetto alla pressione dell’inflazione. Eppure, con i tassi di pareggio delle obbligazioni indicizzate all’inflazione del Regno Unito ben al di sopra del 4%, si può notare che la BoE sta perdendo credibilità, poiché le aspettative di inflazione si stanno disancorando.

Tutto questo, recentemente, ha iniziato a pesare sulla sterlina, e se dovesse iniziare a scivolare ulteriormente, potrebbe anche esacerbare un eccesso di inflazione. Sembra chiaro che il Regno Unito abbia un problema di inflazione molto più serio e radicato rispetto al resto dell’Europa. Non saremmo sorpresi di vedere la misura dell’’inflazione RPI vicina al 12%, collocandosi appena 1.000 punti base al di sopra rispetto a dove trattano i rendimenti dei Gilt britannici.

La Banca d’Inghilterra non vanta un track record positivo nel capire come l’inflazione si sia insediata nell’economia nell’ultimo anno o giù di lì. Pare anche che ci possa essere una pressione politica che spinge il Governatore a mantenere i tassi bassi e a sperare che l’aumento dei prezzi sia transitorio.

Tuttavia, con il mercato del lavoro rigido e i salari in aumento, dubitiamo che passerà molto tempo prima che la BoE sia costretta a capitolare e a capire che una lieve recessione ora può essere preferibile a una molto più profonda in un momento successivo.

La maggiore propensione al rischio è stata alimentata nell’ultima settimana dall’idea che la guerra in Ucraina si stia muovendo verso un finale incentrato sulla parte orientale del Paese, con il raggiungimento di una soluzione negoziata in tempi brevi.

Questa può anche essere la prospettiva prevalente, ma continuiamo a temere che ci sarà una nuova escalation prima che il conflitto arrivi alla fine. Sembra difficile immaginare che Putin accetti tranquillamente la sconfitta ed è possibile che il recente ritiro da Kiev sia poco più di una riorganizzazione tattica prima di una nuova spinta.

Con i prezzi del petrolio che si stanno muovendo un po’ più verso il basso, e il flusso di notizie sull’Ucraina che sta scendendo di posizione rispetto alle prime pagine, sembra che il conflitto sia molto meno un motore per l’azione dei prezzi di quanto lo fosse stato all’inizio di marzo.

Stando così le cose, le azioni statunitensi sono rimbalzate nelle ultime settimane, con un’altra sovraperformance dell’equity rispetto alle obbligazioni nel corso del primo trimestre. Tuttavia, saremmo sorpresi di vedere l’S&P raggiungere nuovi massimi storici: abbiamo pertanto cercato di realizzare guadagni sulle posizioni lunghe nel credito sovrano e di aggiungere coperture di CDS, cercando di ridurre il rischio beta direzionale del mercato man mano che ci avvicinavamo al 2° trimestre.

I mercati valutari hanno continuato a scambiare con una volatilità relativamente bassa rispetto ad altre asset class. Tuttavia, è stato interessante l’andamento dello yen sono, con la valuta giapponese sotto pressione, poiché il differenziale di tasso tra il Giappone e gli altri mercati sviluppati si allarga. Ciò ha indotto la Banca del Giappone a intensificare gli acquisti di obbligazioni del QE per mantenere un tetto ai rendimenti dei titoli di Stato nipponici. Detto questo, il fatto che la BoJ abbia bisogno di allentare ancora di più, anche se altre Banche Centrali inaspriscono la politica monetaria, potrebbe finire per minare ulteriormente le prospettive per lo yen.

In definitiva, riteniamo che la BoJ potrebbe dover rivalutare la sua politica di controllo della curva dei rendimenti; da questo punto di vista, vediamo l’opportunità di prendere una posizione corta sui tassi in yen, dato che vediamo uno spazio molto limitato per un rally dei rendimenti che vada molto lontano.

Nei Mercati Emergenti, abbiamo assistito a un rimbalzo continuo della propensione al rischio nell’ultima settimana, nonostante le implicazioni di politiche più falco delle banche centrali nei mercati sviluppati, che potrebbero implicare un aumento del rischio di recessione in futuro.

Guardando avanti

Continuiamo a temere che gli eventi in Ucraina possano innescare una nuova ondata di avversione al rischio e quindi siamo stati sollevati dall’aver ridotto il rischio direzionale e di esserci concentrati sul valore relativo. Anche se la pressione interna su Putin potrebbe aumentare sulla scia delle sanzioni, sembra improbabile che la Russia rimanga presto senza soldi.

L’UE ha recentemente importato più gas dalla Russia che mai, a prezzi che sono letteralmente andati alle stelle. Infatti, i recenti pagamenti delle cedole delle obbligazioni russe equivalgono ai pagamenti europei per cinque ore di gas, evidenziando forse come l’UE continui a pagare per la guerra di Putin e probabilmente continuerà a farlo per il prossimo futuro.

La recente battaglia sul pagamento del gas russo in rubli mette in evidenza l’attuale vulnerabilità dell’Europa se la Russia dovesse chiudere i rubinetti per qualche giorno, il che porterebbe a un diffuso shutdown industriale in Germania, Italia e Europa centrale.

In generale, pensiamo che un clima di incertezza possa persistere per un po’ di tempo e che abbia senso gestire livelli di rischio relativamente bassi con l’obiettivo di essere opportunisti. Dopo un trimestre che è stato difficile per molti investitori, sembra avere senso fare attenzione, poiché non è sempre ovvio da dove potrebbe arrivare il prossimo schiaffo.