Il quadro della previdenza complementare tra punti di forza e criticità

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In una recente Audizione parlamentare la Covip ha rappresentato il quadro aggiornato della previdenza complementare che consente di ricavare utili riflessioni in chiave evolutiva.

Alla fine del 2021 l’offerta di strumenti di previdenza complementare si compone di 349 forme pensionistiche, 33 fondi negoziali, 40 aperti, 72 piani individuali pensionistici (PIP) “nuovi”, 204 fondi preesistenti.

Il numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema è andato progressivamente riducendosi per effetto di operazioni di concentrazione, soprattutto nel settore dei fondi preesistenti.

Il fenomeno è da considerare con favore, si sottolinea, in quanto consente di realizzare miglioramenti di efficienza ed economie di scala che possono tradursi in riduzioni dei costi e in innalzamento della qualità della gestione e dei servizi offerti agli iscritti, viene sottolineato

Sulla base di stime ancora preliminari, alla fine del 2021 il totale degli iscritti alla previdenza complementare ha raggiunto circa 8,8 milioni. In percentuale delle forze di lavoro, il tasso di partecipazione si è attestato a circa il 33 per cento.

Su questi andamenti l’impatto della pandemia è stato complessivamente lieve e solo temporaneo.

Si è osservato un rallentamento delle nuove adesioni e dei flussi contributivi nei mesi centrali del 2020, all’apice quindi delle restrizioni legate all’emergenza sanitaria, ma successivamente il sistema ha riguadagnato le tendenze in essere prima della pandemia.

Le posizioni in essere presso i fondi pensione negoziali sono circa 3,5 milioni; quelle aperte presso i fondi aperti sono 1,7 milioni e quelle presso i PIP “nuovi” 3,6 milioni; circa 650.000 sono le posizioni dei fondi preesistenti e circa 320.000 quelle aperte nei PIP “vecchi”.

La crescita delle adesioni ai fondi negoziali si è ravvivata a partire dal 2015, quando ha preso forma il meccanismo delle cosiddette adesioni contrattuali, con il quale i lavoratori vengono automaticamente iscritti al proprio fondo di riferimento, per effetto delle previsioni dei contratti collettivi di lavoro che dispongono il versamento di uno specifico contributo a carico del solo datore di lavoro.

Ciò, a prescindere dalla scelta del lavoratore medesimo di far confluire nel fondo anche il TFR e i contributi ordinari (a carico del datore di lavoro e dello stesso lavoratore).

Il meccanismo è stato dapprima introdotto nel settore dell’edilizia e ha determinato una rilevante crescita degli aderenti al fondo pensione di riferimento del settore; esso si è poi diffuso a numerosi altri fondi. Complessivamente, le adesioni di tipo contrattuale sono pari a circa un terzo di quelle totali ai fondi negoziali.

Tuttavia, in gran parte dei casi all’adesione al fondo che ha così avuto luogo non è seguito alcun versamento contributivo ulteriore, per cui le posizioni degli iscritti sono rimaste modeste in termini di valore. Ciò accade soprattutto nei fondi di riferimento di settori di attività nei quali le piccole e piccolissime aziende sono prevalenti e i rapporti di lavoro sono caratterizzati da scarsa stabilità.

La Covip rimarca però anche le criticità. Gli 8,8 milioni di lavoratori iscritti alla fine del 2021 alla previdenza complementare sono pari a circa il 33 per cento delle forze di lavoro.

Di essi, circa 1,2 milioni risultano iscritti a un fondo tramite solamente la menzionata adesione contrattuale, e pertanto le relative posizioni ricevono contribuzioni modeste.

Sotto altro profilo, gli iscritti che nel 2020 non hanno effettuato versamenti contributivi sono 2,2 milioni; di costoro, un milione non versa contributi da almeno cinque anni. Il fenomeno si sovrappone in parte con quello delle adesioni di tipo contrattuale, come detto previste in alcuni settori caratterizzati da poca stabilità del posto di lavoro, e la modesta contribuzione legata a tali adesioni viene interrotta al momento che il rapporto di lavoro viene meno.  Anche tra coloro che versano regolarmente i contributi si rilevano ampie differenze.

Utilizzando gli ultimi dati disponibili, relativi al 2020, i contributi per singolo iscritto ammontano mediamente a 2.740 euro. Il 24,4 per cento degli iscritti contribuisce con meno di 1.000 euro; la percentuale sale al 30,3 per cento nei fondi negoziali per effetto di un’ampia platea di lavoratori che versano il solo contributo contrattuale. Il 14,6 per cento degli iscritti versa tra 1.000 e 2.000 euro; il 10,6 per cento tra 2.000 e 3.000 euro. Alle classi successive appartiene un 10 numero via via inferiore di iscritti; fa eccezione la fascia di versamento tra 5.000 e 5.500 euro, che include il limite di deducibilità fiscale dei contributi, fissato dalla normativa in 5.164,57 euro, alla quale appartiene il 6,8 per cento degli iscritti.

Si rileva chiaramente poi che i tassi di partecipazione più elevati si registrano nelle aree più ricche del Paese: in media tra il 35 e il 40 per cento delle forze di lavoro, con punte del 45-50 per cento laddove l’offerta previdenziale è integrata da iniziative di tipo territoriale. In queste aree i versamenti contributivi sono in molti casi anche doppi rispetto a gran parte delle regioni del mezzogiorno.

Rispetto alle forze di lavoro per fasce di età, la partecipazione alla previdenza complementare dei soggetti under 35 è pari al 22,7 per cento, inferiore di circa un terzo a quella delle fasce di età centrali (35-54 anni); la contribuzione è di due terzi inferiore.
Per genere, il tasso di partecipazione delle donne, 29,7 per cento, è pari a quattro quinti di quello degli uomini (35,5 per cento); anche la contribuzione rimane di un quinto inferiore. In linea generale, nelle situazioni in cui maggiore sarebbe l’esigenza di integrare la pensione di primo pilastro con quella complementare, il grado di partecipazione è quindi più basso.

Per quel che riguarda poi differenze di partecipazione nella previdenza complementare si sottolinea come esse riflettono quelle relative al coinvolgimento nel mercato del lavoro.

Per quanto riguarda il genere, considerando la popolazione attiva (fasce di età 15-64 anni), la partecipazione delle donne alle forze di lavoro (54,7 per cento) è pari a tre quarti di quella degli uomini (73,5 per cento): quindi, la minore partecipazione del genere femminile alla previdenza complementare è spiegata in primo luogo dal minore coinvolgimento nel mercato del lavoro e solo in misura relativamente minore (come si è detto sopra, pari a un ulteriore quinto)  dalla più bassa propensione alla previdenza complementare una volta che si faccia parte delle forze di lavoro.

Le differenze tra classi di età nella partecipazione alla previdenza complementare sono invece principalmente attribuibili proprio alla loro diversa propensione a tale partecipazione una volta che si considerino solo le forze di lavoro.

Ad esempio, la fascia di età 25-34 anni registra una partecipazione alle forze di lavoro inferiore del dieci per cento a quella della fascia adiacente più anziana (35-44 anni); una volta parte delle forze di lavoro, la fascia di età più giovane fa registrare una partecipazione alla previdenza complementare inferiore di circa un quarto rispetto a quella della fascia relativamente più anziana.