Uomo-macchina: è tempo di tornare protagonisti. Umberto Galimberti al Salone del Risparmio 2022

Marco Rosichini -

A distanza di vent’anni dalla prima pubblicazione di “Psiche e techne“ il filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti, intervistato da Luca Tenani, Country Head di Schroders, ripercorre la storia del rapporto travagliato tra il fattore umano e quello tecnologico. Mai come ora, in un mondo dominato all’intelligenza artificiale, il tema risulta così pregnante. Il relatore, invero, non è particolarmente ottimista. Anzi, tutt’altro. Afferma che stiamo vivendo un ‘epoca nuova, caratterizzata da un capovolgimento, quasi ontologico, del mondo. La natura sta progressivamente perdendo la sua morsa sull’uomo, costretta a subire un processo di sostituzione in favore di una società permeata dal dominio della tecnica. Una società talmente reificata che appare senza un fine in sé, mossa solo dalla massimizzazione degli scopi e dalla minimizzazione dei mezzi. Il tanto vituperato mercato, al confronto, sembra più utopico nelle sue finalità  in quanto orientato, quantomeno, dal profitto e quindi dalla volontà di creare benessere. La tecnica, invece, viene esonerata anche da ogni forma di idealità. Galimberti trova, percorrendo una sintesi storica, un capro espiatorio per tutto ciò: il cristianesimo. È la religione giudaico cristiana da mettere sul banco degli imputati. Il cristianesimo ha plasmato una concezione della natura antropocentrica, radicalmente fondata sull’unicità dell’uomo, concepito ad immagine e somiglianza di Dio, che aberra tutto ciò che non sia esso stesso. A questa concezione antropocentrica, profondamente scientifica nella prassi, non si è contrapposta, con altrettanto vigore, una cultura biocentrica in cui al centro c’è la vita. Non stupisce, pertanto, citando Heidegger, che il creato sia sottoposto ad una tale azione di “usura”, esacerbata oggi da una forma statale che si avvale delle tendenze più esiziali della tecnica, oramai concepita come un sistema sempre più autonomo e a sé stante. L’orizzonte che intravede Galimberti risulta pertanto viziato da un pessimismo e nichilismo di fatto: “il fare tecnico ha superato la capacità di prevedere gli effetti del nostro fare“ dice. È pertanto impossibile prospettare una fase di progresso dell’avvenire dal momento in cui l’egemonia coercitiva del pensiero tecnico renderà l’uomo meno libero e schiavo del progresso. La sua libertà sarà associata al ruolo che riveste nella società e quindi ricollegata all’apparato burocratico a cui delega non sola la sua identità, ma la sua stessa vita. Può sembrare ipocritamente banale ma il filosofo, interrogato su cosa ci riserverà il futuro, fa una riflessione sui giovani.  Illustra come, al giorno d’oggi, i giovani possano rivendicare un diritto all’infelicità in quanto non in grado di esprimere le proprie potenzialità, ideali e sessuali, soffocate da una società che, nella sua estrema tecnicizzazione, ne anestetizza l’agire in un eterno presentismo. Non stupisce pertanto la via di fuga, non più solo onirica, dell’alcool e della droga.  In un ‘epoca in cui il denaro e più in generale il capitale risulta essere il generatore simbolico di ogni valore costruire un ‘ alternativa di pensiero radicalmente diversa e fondata sul paradigma biocentrico sembra essere, secondo Galimberti, l’unica strada possibile per rifuggire da una società calcolante.