I britannici hanno bisogno di una nuova Thatcher, ma non aspettatevi che arrivi presto

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I rendimenti globali sono saliti nelle ultime due settimane, mentre continuano a persistere i timori per l’inflazione. L’inflazione dell’Eurozona ha superato l’8% a maggio e non è ancora scesa, con un picco intorno al 9% considerato probabile verso la fine del terzo trimestre. Alla luce di ciò, la Banca Centrale Europea si è vista costretta a muoversi in una direzione più falco, anticipando i previsti rialzi dei tassi, con un aumento del tasso repo di circa 125 punti base entro la fine del 2022, portando i tassi allo 0,75%.

In ultima analisi, riteniamo che il rallentamento della crescita nella Zona Euro possa far svanire rapidamente i timori di inflazione verso la fine dell’anno e che questo possa significare che il percorso futuro dei tassi sia sopravvalutato. Tuttavia, finché le pressioni sui prezzi non cominceranno ad attenuarsi, potrebbe essere difficile una stabilizzazione dei rendimenti.

Nel frattempo, gli spread dell’Eurozona continuano a subire pressioni, alla luce dei limitati dettagli forniti dalla BCE in merito alle misure che potrebbero essere volte a contenere un eventuale rischio di frammentazione. Anche gli spread societari della Zona Euro si sono ampliati in risposta all’aumento delle previsioni di inflazione e al calo delle previsioni di crescita. Per il momento, sembra che gli spread delle zone periferiche debbano ancora aumentare prima che i policymaker sentano il dovere di reagire.

Negli Stati Uniti, lo scenario è un po’ più costruttivo. Dopo aver raggiunto un picco del 6,5%, l’indice dei prezzi al consumo core degli Stati Uniti (CPI) dovrebbe scendere al di sotto del 6% nei dati di maggio, la cui pubblicazione è prevista per oggi. In questo contesto, si può pensare che le azioni della Fed stiano iniziando a produrre gli effetti desiderati sulla scia di un rapido inasprimento delle condizioni finanziarie.

Tuttavia, ci aspettiamo che il Federal Open Market Committee (FOMC) continui in una direzione falco almeno fino a quando le pressioni sui prezzi non saranno più moderate. Prevediamo un aumento dei tassi statunitensi verso il 3% entro la fine dell’anno, con la Fed che anticipa la propria politica di inasprimento nella speranza di ripristinare la stabilità dei prezzi il più rapidamente possibile, al fine di evitare un disancoraggio delle aspettative di inflazione.

I dati sull’attività economica degli Stati Uniti rimangono relativamente sani e con i bilanci dei consumatori e delle imprese in buona salute,continuiamo a vedere la recessione come un caso di rischio, piuttosto che come una reale probabilità. Un’ulteriore prova della solidità di fondo dell’economia statunitense è data dai dati fiscali, con il deficit federale statunitense che si sta riducendo a un ritmo sostenuto.

Fino alla fine dello scorso anno, il saldo di bilancio degli Stati Uniti era in territorio negativo e si pensava che i tagli fiscali precedenti sarebbero stati annullati a seguito della pandemia. Tuttavia, ciò a cui si è assistito di recente potrebbe essere salutato come un trionfo dell’economia di Laffer, con i precedenti tagli fiscali che hanno contribuito a spingere la crescita in misura tale da dimostrare che questi tagli fiscali si autofinanziano.

Le prospettive di crescita in Europa rimangono molto più deboli e, a nostro avviso, è possibile che l’area subisca una contrazione del PIL nell’ultimo trimestre di quest’anno. La crisi del costo della vita continua a pesare sul sentiment economico e imprenditoriale in tutto il continente.

Tuttavia, osserviamo che le richieste salariali provenienti dalla Germania rimangono relativamente contenute, con i sindacati, i datori di lavoro e il governo che cercano di promuovere l’importanza di raggiungere un contratto sociale, tanto che sembra improbabile un ritorno a una dinamica salariale a spirale di tipo anni Settanta. Tuttavia, non è questo il caso oltremanica. Nel Regno Unito, la carenza di manodopera, aggravata dalla Brexit, ha visto un’accelerazione delle richieste salariali e un boom di scioperi nel settore industriale. Con la Banca d’Inghilterra pronta a lasciar correre l’inflazione, l’assenza di leadership sembra alimentare il de-ancoraggio delle aspettative inflazionistiche, con nuove cattive notizie su base settimanale.

Sebbene Boris Johnson sia sopravvissuto al voto di sfiducia tenutosi all’inizio della settimana, la sua leadership è ora gravemente danneggiata. La politica potrebbe muoversi in una direzione più populista, con il taglio delle tasse e la sospensione del protocollo per l’Irlanda del Nord, con il rischio di una disputa con i partner commerciali europei. Queste misure potrebbero aumentare l’inflazione e mettere sotto pressione la sterlina.

Manteniamo una visione ribassista sugli asset britannici e sulla valuta e negli ultimi giorni abbiamo incrementato le posizioni corte sulla sterlina, l’obiettivo è posizionarsi in modo più costruttivo sul Regno Unito nelle settimane e nei mesi a venire, visto che lì si sta già sperimentando la stagflazione e queste pressioni sembrano destinate a intensificarsi, con un peggioramento delle prospettive di crescita e inflazione.

Nel frattempo, gli sviluppi in Giappone continuano a suscitare un crescente interesse. L’attaccamento della Bank of Japan al controllo della curva dei rendimenti ha visto lo yen continuare a scendere mentre i differenziali dei tassi d’interesse continuano a salire.  Con l’aumento dell’inflazione, riteniamo che si stia arrivando a un punto in cui la BoJ dovrà cambiare rotta. Se ciò dovesse accadere, potremmo assistere a un sostanziale rialzo dei rendimenti dei JGB, rendendo una posizione di short duration sul Giappone interessante, in termini di profilo di rendimento prospetticamente asimmetrico e orientato al futuro.

Altrove in Asia, le autorità cinesi hanno voluto sentirsi scagionate dal fatto che la diffusione del Covid-19 ha subito un calo, sulla scia dei lockdown draconiani. Tuttavia, con la ripresa dei casi a Hong Kong e ora a Shanghai, ci aspettiamo che qualsiasi tregua sia di natura temporanea, con un modello di crescita stop/start.

Per quanto riguarda i mercati emergenti in generale, continuiamo a concentrarci sui vincitori e sui vinti, nel contesto dello shock dei termini di scambio. Riteniamo che si possa andare verso l’imposizione di controlli valutari in Turchia e sottolineiamo anche il rapido deterioramento della bilancia dei pagamenti in India.  Altrove, gli esportatori di materie prime rimangono in una posizione molto più forte.

Guardando avanti

Il CPI statunitense di oggi potrebbe essere importante per determinare la direzione del mercato. Un risultato più favorevole potrebbe vedere i rendimenti dei Treasury a lunga scadenza continuare a consolidarsi in un range intorno al 3%.  Tuttavia, qualsiasi delusione sul lato superiore potrebbe vedere i rendimenti salire ancora una volta e, in tal caso, riteniamo che ciò potrebbe pesare sugli asset di rischio. Diversi elementi aneddotici ci hanno reso un po’ più ottimisti sulle prospettive per l’inflazione statunitense.

Eppure, i dati provenienti da altre parti del mondo sembrano suggerire che i dati sull’inflazione continuino ad essere sbilanciati verso il superamento delle aspettative del mercato e ciò desta preoccupazione. Nonostante questo, almeno negli Stati Uniti, ciò a cui sembra si stia assistendo è il prodotto di un’economia surriscaldata e quindi i tassi d’interesse stanno aumentando per le “giuste” ragioni, mentre altrove non è così.

Nel Regno Unito, il Giubileo ha fornito una gradita distrazione, ma come chi ha viaggiato negli aeroporti del Paese di recente ha potuto constatare, c’è una crescente e palpabile sensazione che il Paese stia andando decisamente nella direzione sbagliata. In particolare, sembra essersi radicata una cultura dei benefici e dei diritti, tanto che la produttività della forza lavoro sta diventando ostacolata da atteggiamenti di rifiuto del lavoro e dalla sensazione che i lavoratori debbano essere liberi di scegliere come, dove e quando lavorare.

Questa narrazione di un “ritorno agli anni ‘70” potrebbe durare ancora a lungo, e si è tentati di pensare che in futuro sarà necessario un nuovo momento thatcheriano. Tuttavia, mancano ancora diversi anni prima che la società riconosca o abbracci questa eventualità e all’orizzonte non si intravede alcun leader chiaro o emergente che sembri rientrare in questo schema. Per il momento, sembra che dovremo restare impantanati con l’attuale Primo Ministro ancora per un po’.