La Cina potrebbe essere la prima economia a sorprendere positivamente
L’8 luglio 1971, durante una cena al palazzo presidenziale di Islamabad, Henry Kissinger simulò un malore. Ai giornalisti venne detto che il consigliere per la sicurezza nazionale sarebbe rimasto un paio di giorni in una località sotto l’Himalaya per riprendersi, in realtà quelle quarantotto ore erano sufficienti per volare segretamente a Pechino in una visita di cui solo il Presidente Nixon e pochissimi altri erano a conoscenza.
Gli Stati Uniti non avevano rapporti diplomatici con la Cina da vent’anni, tra i nodi da sciogliere c’erano la questione indocinese e Taiwan, dove nel 1971 erano ancora stanziate forze militari americane. A distanza di cinquant’anni resta irrisolta l’ambigua condizione giuridica di Taiwan, nel frattempo la Cina è diventata una potenza economica e militare, partner commerciale e nello stesso tempo avversario strategico. Gli americani sono vincolati alla difesa dell’isola da trattati diplomatici, un eventuale atto di forza militare di Pechino metterebbe alla prova la reputazione degli Stati Uniti, in un attimo la Cina diventerebbe la potenza dominante in Asia, sarebbe il crollo definitivo di ciò che resta della Pax Americana. La guerra in Ucraina complica ulteriormente le cose: le rivendicazioni territoriali dell’azzardo russo reggono sempre meno la prova della sincerità, appaiono più strumentali a spezzare la dualità di Stati Uniti e Cina e restituire alla Russia il ruolo di protagonista alla pari.
Secondo il disegno di Mosca, il nuovo ordine mondiale dovrebbe essere fondato su tre sfere di influenza, la Cina “padrona” dell’area indo-pacifica, la Russia che con la leva del gas mantiene influenza e un sostanziale potere di veto sull’Unione Europea, gli Stati Uniti confinati nel continente americano e avviati al declino secolare. L’esito di questo disegno è tutt’altro che scontato, la Russia deve fare i conti con l’oste che sta a Pechino e che a ottobre terrà il XX Congresso del PCC dove, con molta probabilità, verrà confermato il terzo mandato di Xi Jinping. Ma anche l’attuale leadership cinese deve fare i conti con le sue difficoltà. La politica della tolleranza zero prosegue e, con essa, i costi sociali ed economici, con il rischio dello sfilacciamento del “contratto sociale” del Partito con la nuova classe media: benessere e crescita economica in cambio nessuna pretesa di diritti civili o politici.
La performance dell’economia cinese nel secondo trimestre è stata ampiamente al di sotto delle attese e degli obiettivi stabiliti dal governo: il dato appena positivo di +0,4% è il peggior risultato trimestrale in trent’anni dopo quello registrato all’inizio della pandemia. Con una crescita di +2,5% nella prima metà dell’anno è poco probabile che venga traguardato l’obiettivo del 5,5% per il 2022. Soprattutto, esso dimostra plasticamente quanto costi all’economia della Cina e del mondo la tetragona volontà di mantenere la politica della “tolleranza zero” verso il Covid 19 nel tentativo di sradicarlo dal paese.
La leadership cinese è di fronte a una alternativa del diavolo, continuare la politica dello “zero Covid” comporta costi economici e sociali elevati ma, d’altro canto, rimuoverla significherebbe rischiare milioni di vittime perché meno dello 0,1% della popolazione è stata infettata dal Covid 19 ed è dunque più vulnerabile. Il Pil è per definizione un indicatore “ex post”, guardando invece avanti sembrano resistere gli indicatori predittivi, “leading”: ad esempio quello dei responsabili degli acquisti. In giugno l’indice PMI è tornato sopra 50, la soglia che separa l’espansione dalla stagnazione. Il valore di 54,7 del PMI dei servizi in giugno è stato superiore al 47,8 del mese precedente e alle previsioni di 50,5.
Le prospettive di medio periodo migliorano e la Cina si presenta come uno dei mercati azionari a più buon mercato, il sentiment è ancora ribassista in un contesto che può preludere a possibili sorprese al rialzo: le valutazioni non stanno ancora incorporando l’uscita dai lockdown massivi e gli effetti delle misure a sostegno all’economia. Non dimentichiamo poi che il controllo del governo cinese sull’economia è molto invasivo: la leadership vuole presentarsi al Congresso con le carte in ordine ovvero crescita economica e Covid 19 debellato.
Diventano dunque particolarmente interessanti i settori compresi nel perimetro delle politiche dello sviluppo: l’avanzamento digitale, la produzione dei veicoli elettrici, le energie rinnovabili e gli investimenti “green”. Anche per quanto riguarda la Cina non c’è fretta ma potrebbe essere la prima economia a dare sorprese positive.