UBP: testimone passa da banche centrali a politica fiscale, ma è cambiamento che comporta rischi

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Sebbene l’attenzione dei mercati si sia concentrata sull’assenza di un cambio di rotta da parte della Federal Reserve statunitense, in concomitanza con i rialzi dei tassi aggressivi della Bank of England e della Banca Centrale Europea (BCE), sembra che si stia verificando un cambiamento più importante, in quanto l’equilibrio politico globale si sta spostando dal primato della politica monetaria alla crescente predominanza della politica fiscale.

Non va dimenticato che, all’insorgere della crisi finanziaria globale (GFC), la Federal Reserve ha guidato la politica monetaria tagliando i tassi di interesse a zero e impiegando il proprio bilancio per la prima volta nella sua storia per combattere lo shock deflazionistico. In effetti, sebbene il Congresso degli Stati Uniti sia intervenuto nell’ottobre 2008 con l’Emergency Economic Stabilization Act, che ha finanziato il più noto Troubled Asset Relief Program, ciò è avvenuto solo dopo che i tentativi di un mese prima erano falliti e avevano provocato un crollo dei mercati.

L’eco del 2011 della GFC – la crisi del debito sovrano dell’Eurozona – ha visto uno squilibrio simile nella leadership politica. La BCE prese posto accanto al FMI e alla Commissione europea nella “Troika” per gestire il salvataggio e la ristrutturazione del debito sovrano greco. Ma il momento cruciale fu quando il Presidente della BCE, Mario Draghi, si impegnò con il “Whatever it takes” per salvare la moneta unica, mentre i governi nazionali e l’Unione Europea erano bloccati dalle loro stesse camicie di forza fiscali.

La leadership politica unilaterale all’inizio degli anni 2010 si è trasformata in una partnership verso la fine del decennio, quando i responsabili politici si sono trovati a combattere la pandemia globale nel 2020-21. Ancora una volta, le banche centrali in Europa, negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo si sono mosse per mettere in pratica il manuale del GFC, tagliando drasticamente i tassi di interesse, in alcuni casi al di sotto dello 0%, e dando il via alle operazioni di acquisto di obbligazioni a un ritmo e a dimensioni ben superiori a quelle viste all’indomani del 2008-2009.

Questa volta, però, alle autorità monetarie si sono aggiunte le autorità fiscali, che si sono mosse per attutire il crollo della domanda, mentre le popolazioni si rifugiavano in casa in mezzo alla tempesta virale. Le autorità fiscali statunitensi hanno autorizzato una spesa di oltre 6.000 miliardi di dollari, mentre la Federal Reserve ha stanziato altri 4.000 miliardi di dollari dal proprio bilancio per contribuire a sostenere l’economia. Questa risposta monetaria e fiscale coordinata ha portato alla recessione più breve e più acuta della storia degli Stati Uniti.

In Europa, i vincoli fiscali che storicamente limitano la generosità fiscale sono stati sospesi “temporaneamente” per consentire ai membri di affrontare la pandemia. Proprio come negli Stati Uniti, la spesa fiscale nell’Unione Europea ha raggiunto quasi 6.000 miliardi di euro, mentre la BCE ha ampliato il proprio bilancio di 4.000 miliardi di euro.

Le banche centrali si trovano in una posizione simile a quella delle autorità fiscali durante la crisi del debito sovrano europeo – ostacolate nel rispondere allo shock della domanda, questa volta dal timore di perdere la loro credibilità nella lotta all’inflazione.

Le autorità fiscali nazionali hanno invece assunto un ruolo di leadership, con la Germania che ha annunciato un pacchetto a sostegno delle famiglie e delle imprese colpite dall’aumento quasi triplicato dei prezzi del gas naturale dall’inizio dell’anno. Per non essere da meno, il nuovo primo ministro del Regno Unito ha annunciato un programma per affrontare la più diffusa crisi del costo della vita a livello nazionale. In entrambi i casi, le nuove spese hanno portato a un ulteriore gonfiarsi dei deficit fiscali, che erano già stati richiesti per far fronte alla risposta alla pandemia.

Il costo dell’azione fiscale, al di là degli euro e delle sterline già impegnati, è stato rapido e considerevole: i rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza sono aumentati sia nell’area dell’euro che nel Regno Unito. Il Regno Unito, in particolare, si troverà ad affrontare una sfida fiscale a causa di questi tassi in aumento, in quanto il suo ampio stock di debito in essere aumenta la spesa per interessi nazionali e aggrava l’onere fiscale complessivo sull’economia. Inoltre, con la crisi energetica che ha innescato un’inflazione mai vista dall’inizio degli anni ’80 e con oltre il 20% del debito sovrano del Regno Unito legato all’inflazione, il già immenso peso fiscale sull’economia sarà ulteriormente aggravato.

Nell’area dell’euro la pressione arriverà da una direzione diversa. Mentre la spesa fiscale della Germania sarà finanziata dalla sua storia di risparmio, l’Italia non ha una riserva simile a cui attingere e, come il Regno Unito, vedrà crescere l’onere degli interessi in mezzo al forte aumento dei rendimenti dell’area dell’euro. Inoltre, l’Italia sta cercando di spostare i finanziamenti dal Fondo di ripresa dell’UE verso il sostegno alla crisi energetica, sollevando la prospettiva di un conflitto tra Roma e Bruxelles. Tutto ciò avviene in un contesto in cui le banche centrali del Regno Unito e dell’area dell’euro aumentano i tassi di interesse per combattere l’inflazione.

Negli Stati Uniti, che non subiscono uno shock energetico della stessa portata di quello che si sta verificando oltreoceano, i pagamenti degli interessi sono destinati a salire, con rendimenti a 2 anni a livelli che non si vedevano da prima della GFC, quando il rapporto debito pubblico/PIL era di appena il 65% rispetto all’attuale 100%. Forse per questo motivo, il governo statunitense ha approvato un programma di spesa verde da 400 miliardi di dollari per iniziare a trasformare le infrastrutture, ma sarà finanziato con un aumento delle tasse. Ciò che è degno di nota, tuttavia, è che nonostante un Congresso poco collaborativo, è stato approvato un programma di spesa fiscale considerevole senza la minaccia di una nuova crisi, a differenza del programma di spesa fallito nel settembre 2008 durante la GFC.

Inoltre, il coordinamento globale delle politiche, come quello delle banche centrali nel 2009, è improbabile tra i legislatori di tutto il mondo rispetto alle loro controparti bancarie centrali.

Quando la politica fiscale reagisce, finisce invariabilmente per essere troppo generosa (come in seguito alla pandemia) o troppo parsimoniosa (a causa delle lotte politiche), provocando boom più ampi e crisi più profonde nelle economie in un’epoca di predominio fiscale.

Una tale mancanza di coordinamento delle politiche globali potrebbe portare a maggiori spostamenti nei mercati valutari come meccanismo di bilanciamento, come si è visto con le divergenze di politica monetaria post-pandemia che hanno portato a un rafforzamento storico del dollaro USA.

Se da un lato le autorità fiscali più attive sono benvenute alla luce della moltitudine di shock che colpiscono l’economia globale, dall’altro gli investitori devono riconoscere che una narrativa fiscale più dominante crea uno scenario d’investimento molto diverso da quello a cui si erano abituati nell’ultimo decennio, e devono adattare di conseguenza il loro approccio d’investimento.