È ora di liberarsi dai preconcetti

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Quando si chiede a un gestore di debito subordinato – e più specificamente a un gestore di CoCos – se esiste un punto di ingresso nella sua asset class, il suo riflesso pavloviano è quello di affermare che i fondamentali del settore bancario sono buoni e resistenti e che le valutazioni dei titoli sono interessanti. Questo ragionamento è certamente necessario per giudicare se investire o meno nell’asset class, ma non racconta la storia per intero.

Partiamo dai fondamentali solidi. Vero. Il settore bancario europeo è solido e la stagione degli utili del terzo trimestre del 2022 lo ha dimostrato ancora una volta: i coefficienti patrimoniali sono robusti ed elevati, e i coefficienti di crediti deteriorati stanno resistendo molto bene. Tuttavia, questo rappresenta il passato. Diversi indicatori europei mostrano un aumento dei tassi di insolvenza delle imprese dalla fine di giugno in diversi Paesi. Alcuni Stati, tra cui la Spagna, stanno istituendo tasse eccezionali sui profitti bancari – una mossa che viene criticata dalla BCE, nonostante la stessa BCE stia prosciugando la redditività delle banche modificando le regole per la remunerazione delle TLTRO. Ci si può anche interrogare sulla capacità delle banche di aumentare i propri margini se la produzione di prestiti non riesce a tenere il passo, dato che i costi di rifinanziamento sono in forte aumento. Tutto questo crea incertezza sulla redditività effettiva delle banche europee nei prossimi 12-18 mesi, ma non ha alcun effetto sulle valutazioni delle obbligazioni bancarie. Piuttosto dobbiamo evidenziare che si tratta di un settore eccessivamente regolamentato, in cui le banche sono state costrette per dodici anni a “sovracapitalizzarsi”, a mantenere eccessivi cuscinetti di liquidità e a ridurre in modo significativo la leva del debito. A rischio di un’eccessiva semplificazione, si potrebbe dire che sono diventate una sorta di compagnie di assicurazione in termini di gestione del bilancio, a scapito della loro stessa redditività. Un fattore, questo, negativo per i titoli bancari, ma positivo per le obbligazioni, dato che il settore ha visto diminuire il rischio sistemico drasticamente negli ultimi anni. Detto questo, sia per gli investitori obbligazionari che per quelli azionari, le banche rimangono una scommessa ciclica e condizionata dagli alti e bassi della situazione macroeconomica.

Il secondo aspetto da tenere d’occhio è il ritorno dei flussi verso i fondi obbligazionari, e più in particolare verso i fondi di credito. Il mercato del credito è stato sulla difensiva per diversi mesi ma, mentre i deflussi sembrano essersi parzialmente stabilizzati, i gestori del debito investment grade e subordinato sembrano riluttanti ad assumere rischi per mancanza di convinzione e di afflussi. Questo posizionamento molto debole si fa sentire giorno per giorno. Come per il mercato azionario, i rimbalzi sono piuttosto violenti e illiquidi, ma non convincono per quanto riguarda la loro durata.

Di cosa abbiamo bisogno quindi? Se le valutazioni diventano più attraenti, deve verificarsi un calo della volatilità dei tassi d’interesse e forse anche un arbitraggio più consistente dai mercati azionari verso quelli obbligazionari. Un arbitraggio che significherebbe una rottura dell’attuale correlazione eccessivamente forte tra il credito High Beta (che include il debito subordinato) e il mercato azionario, a favore del credito stesso.

Cosa stiamo aspettando? Visibilità per quanto riguarda le decisioni delle banche centrali, anche in termini di entità della recessione in arrivo. Elementi che determineranno l’ampiezza dei movimenti sui mercati azionari e dei flussi che ne deriveranno. Pertanto, non sono i fondamentali e le valutazioni a determinare il punto di ingresso, ma ciò che ne giustifica l’entità.