Debito dei mercati emergenti: ci sarà un’inversione di tendenza?

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Il 2022 è stato caratterizzato dall’aumento dei tassi d’interesse nei mercati sviluppati, da picchi inflazionistici su livelli che non si osservavano da molte decadi, dall’aumento del prezzo delle commodity e dallo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina. Tutti questi fattori hanno duramente colpito il settore creditizio dei mercati emergenti (EM), con questa classe di attività che ha ceduto il 15% del suo valore nell’arco di un anno. Tuttavia, tra ottobre e dicembre, si è assistito a un rally per gli EM pari al 9,3% e se da un lato questo ha ridotto i rendimenti potenziali, dall’altro ci porta a ritenere che il settore potrà ottenere ancora dei risultati positivi nel 2023. Questa nostra previsione si basa su assunzioni sostenute dai dati più recenti e su alcune variazioni di policy che saranno descritti meglio a seguire.

Le cose stanno davvero migliorando?

Il primo driver da prendere in considerazione è l’inflazione, che sta aumentando sia nei mercati sviluppati sia in quelli emergenti, a causa delle politiche di forte aumento dei tassi benchmark, del rallentamento della crescita e dell’aumento dei prezzi delle commodity come cibo e carburante. Tuttavia, con la pressione sui prezzi che sta andando riducendosi, riteniamo che il ciclo di rialzo dei tassi sia prossimo alla sua conclusione. Sebbene ciò potrebbe causare un aumento della volatilità, lo scenario più probabile è che i rendimenti obbligazionari dei mercati sviluppati abbiano ormai raggiunto il loro massimo, il che costituisce una buona notizia per gli EM: il crollo dei Treasury statunitensi è responsabile di circa l’11,4% della performance negativa di questa asset class nel 2022, ma è molto improbabile che un crollo simile si ripeta anche nel 2023.

Un secondo aspetto da esaminare è la recessione che molti analisti hanno previsto per quest’anno. È molto improbabile che questa veda un’elevata correlazione tra le contrazioni come osservato durante la pandemia di Covid-19 e, ancora prima, con la Grande Crisi Finanziaria; è più probabile, infatti, che riguarderà solamente i mercati sviluppati; lo dimostra il fatto che, tra gli oltre 150 prospetti pubblicati dal Fondo Monetario Internazionali, quelli negativi riguardano solamente quattro nazioni, tra le quali risultano la Russia, lo Sri Lanka e il Cile. Non è quindi una sorpresa il fatto che il FMI preveda una crescita del comparto EM compresa tra lo 0% e il 3,7%; una stima che, tra l’altro, non prende in considerazione l’impatto che avrebbe una più veloce riapertura dell’economia cinese. Contemporaneamente, si stima che altre economie asiatiche, in particolare l’India, registreranno una crescita superiore al 6% nel 2023, portandoci a ritenere che quest’anno non solo i mercati emergenti continueranno a espandersi, ma che il differenziale di crescita tra questi e i mercati sviluppati potrebbe raggiungere i livelli osservati nel 2016. Infine, dobbiamo considerare che se la recessione prevista sarà breve e di lieve entità, anche gli EM ne beneficeranno.

Il terzo punto da esaminare riguarda le riserve di valute estere. Sebbene negli EM queste siano passate da 11 a 10 trilioni di dollari nel 2022, il loro livello è comunque adeguato a coprire il debito pubblico, che si prevede attestarsi attorno ai 4 trilioni. Inoltre, i bilanci di queste nazioni dovrebbero continuare a registrare un surplus, anche se inferiore a quello registrato lo scorso anno. È bene notare anche che numerosi istituti internazionali – come il FMI, la Banca Mondiale, l’Asia Development Bank e l’Asian Infrastructure Investment Bank – stanno continuando a dare un grande supporto alle economie emergenti, segnalando che il rischio di una crisi generale del debito in queste aree si manterrà su livelli molto bassi.

Infine, il quarto e ultimo fattore da prendere in considerazione riguarda gli aspetti tecnici che, per i mercati emergenti, dovrebbero rimanere favorevoli. In particolare, nel corso dell’anno non dovremmo assistere a grandi emissioni di nuovi bond, mentre i flussi di cassa si manterranno solidi – soprattutto nell’ambito dello stacco di cedole e di rendimenti per gli investitori. Aggiungiamo anche che le valutazioni verso gli EM rimangono molto interessanti rispetto alle altre asset class del comparto fixed income, specialmente nel segmento high yield, dato che la crescita di questi dovrebbe essere molto superiore a quella dei mercati sviluppati. Inoltre, riteniamo che le dinamiche dei flussi abbiano finalmente invertito il loro trend, dopo che gli outflow hanno toccato quota 87 miliardi nel corso del 2022 e questo potrebbe trarre vantaggio da quanto visto sopra.

In generale, la visione di LGIM sul debito degli EM, alla luce di questi fattori tecnici, è positiva e prevede che i rendimenti futuri saranno sostenuti dal carry e da una compressione degli spread creditizi.

Gli ostacoli lungo la strada

Nonostante tutti gli elementi presentati a sostegno del debito dei mercati emergenti, bisogna sempre ricordarsi che queste previsioni sono soggette a un certo grado di incertezza e a rischi e, soprattutto, che vi sono comunque delle sfide lungo il cammino che devono essere superate. Per fare un esempio, nonostante svariati indicatori evidenzino un miglioramento delle condizioni economiche, molte banche centrali dei mercati sviluppati non hanno lasciato trasparire l’intenzione di abbandonare la loro politica monetaria restrittiva. Se quest’ultima dovesse inasprirsi ulteriormente e per un arco temporale particolarmente lungo, la recessione che ci apprestiamo ad affrontare potrebbe essere più profonda del previsto; inoltre, altri rischi sul fronte della politica monetaria provengono dalla Cina e dalla possibilità che la riapertura della sua economia possa causare un ulteriore aumento del prezzo delle commodity.

Dal punto di vista della politica interna, invece, nel 2023 sono previste elezioni in numerose economie emergenti come l’Argentina, la Turchia, la Nigeria, il Pakistan, il Paraguay, il Guatemala e molto probabilmente il Perù, molte delle quali dovrebbero portare a nuovi governi e, quindi, a dei cambiamenti di policy. Al contempo, è necessario ricordarsi che la pressione inflazionistica è ancora eccezionalmente alta in numerosi EM che presentano una scarsa ricchezza delle famiglie e della società in generale, aumentando così i rischi di proteste e di una minore stabilità sociale.

Per ultimo, ma non per importanza, è necessario parlare del rischio geopolitico. Non solo c’è la concreta possibilità di assistere a un’escalation nel conflitto russo-ucraino, ma anche l’accelerazione dei test missilistici della Corea del Nord è molto preoccupante. Inoltre, le relazioni tra Cina e Taiwan sono sempre molto tese e anche i rapporti tra Stati Uniti, Cina e Arabia Saudita devono essere tenuti costantemente sotto controllo. D’altro canto, se Russia e Ucraina si dovessero accordare su una qualche forma di cessate il fuoco, l’interesse verso i mercati emergenti crescerebbe enormemente.

Ricapitolando, il credito degli EM ha subito le ripercussioni di numerosi fattori negativi negli ultimi anni, i più rilevanti dei quali sono: la guerra tra Russia e Ucraina, i numerosi conflitti commerciali che si sono generati, la crisi dell’immobiliare cinese, la pandemia e l’aumento senza precedenti di tassi d’interesse e inflazione nei mercati sviluppati. Tuttavia, il fatto che tutto ciò non abbia generato una crisi sovrana del debito, come accaduto con le crisi degli anni ’80 e ’90, è indicativo dei progressi che queste economie hanno compiuto negli ultimi anni. Questa resilienza è la dimostrazione che oggi queste nazioni godono di sistemi istituzionali più stabili, di un migliore management dei fattori macroeconomici e di sistemi economici più diversificati. Inoltre, bisogna tener presente che i policymaker dei mercati emergenti, alla luce di quanto hanno dovuto affrontare negli ultimi anni, sono più esperti nella gestione di crisi, il che ci fa ben sperare circa il loro percorso di crescita per il 2023 e per gli anni a venire.