Risparmio gestito e rischi climatici e ambientali

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Le tematiche di sostenibilità, anche note con la sigla Environmental, Social and Governance (ESG), sono da tempo centrali nell’agenda politica europea e internazionale, nei lavori delle Autorità di vigilanza e nell’attività quotidiana degli operatori del mondo della finanza. L’aumento significativo delle quotazioni dei prodotti energetici, le tensioni geopolitiche, l’elevata inflazione e il conseguente abbandono di politiche monetarie accomodanti perdurate per oltre un decennio, pongono nuove sfide alla prosecuzione degli ambiziosi percorsi di sostenibilità avviati.

Lo sottolinea la Banca d’Italia in un interessante approfondimento su risparmio gestito e rischi climatici e ambientali in cui evidenzia come, invertendo le tendenze degli anni passati, gli investimenti legati ai settori “sostenibili” hanno fatto registrare, nel corso del 2022, rendimenti inferiori rispetto ai comparti legati alla produzione, trasformazione e distribuzione dell’energia fossile e all’industria bellica. Tali sviluppi andranno comunque valutati su un orizzonte temporale più lungo e non devono indurre a rallentare gli sforzi per la realizzazione di un percorso di transizione verso modelli di sostenibilità, in particolare per ciò che concerne la decarbonizzazione dei nostri sistemi economici; le vulnerabilità del modello di approvvigionamento energetico dell’Europa rendono il passaggio a fonti rinnovabili economicamente conveniente e ancora più urgente.

L’approfondimento sottolinea come negli ultimi anni, una quota crescente del risparmio gestito si è orientato verso criteri di sostenibilità; l’incremento dei prodotti di investimento (art. 9 Regolamento sulla disclosure sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari ‘SFDR’) o che promuovono caratteristiche di sostenibilità (art. 8 SFDR), è proseguito anche in un contesto di mercato in cui i fondi hanno fatto registrare, in media, rendimenti negativi e deflussi netti . Il medesimo trend si registra, seppur con proporzioni minori, anche in Italia: alla fine del terzo trimestre 2022, i prodotti ‘sostenibili’ rappresentavano il 40% del totale che, ancorché inferiore rispetto alla media europea, risultava comunque in crescita rispetto al 34,7% di fine 2021.

Si evidenzia ancora come l’implementazione del quadro normativo ha messo in evidenza alcune aree di criticità e alcune necessità di affinamento. Il riferimento è per esempio alla notevole complessità del framework sulla tassonomia e sulla disclosure, che pone in capo agli intermediari oneri di compliance non irrilevanti, soprattutto per quelli di minori dimensioni; il lungo processo di phase in delle norme, se da un lato agevola il graduale adeguamento delle prassi aziendali ai nuovi standard, dall’altro rischia di creare incertezze e incongruenze nella sequenza temporale dei diversi provvedimenti; ai rilevanti data gap ESG esistenti, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese (PMI) che rischiano di metterle in una posizione di grave svantaggio e che non saranno del tutto risolti dall’attuazione normativa, ai dubbi interpretativi nell’applicazione del framework della tassonomia e della SFDR, i quali rischiano di produrre indesiderati effetti pro ciclici andando a rendere più difficile il reperimento di risorse finanziarie per quelle imprese che più necessitano di finanziare l’avvio dei loro piani di transizione. Si rendono quindi necessarie ulteriori evoluzioni, al fine di assicurare la migliore efficacia delle norme e superare gli aspetti più problematici, anche per evitare ricadute sulla competitività delle imprese europee rispetto a quelle delle imprese extra-UE, situate in aree del pianeta nelle quali il tema della sostenibilità non viene affrontato con la medesima sensibilità.

Quali sono le ulteriori considerazioni? Le principali evidenze mostrano che per quanto riguarda il modello di business e la strategia adottata, la maggioranza degli intermediari si è limitata a ricondurre il tema della sostenibilità del business model alla presenza o meno, nella propria offerta commerciale, di prodotti proposti come “green” o “socialmente responsabili”, mentre è risultata scarsa l’attenzione al conseguimento obiettivi di sostenibilità misurabili e alla definizione di specifici indicatori di performance.

Con riguardo alla governance e al sistema organizzativo, sono emerse aree di debolezza legate alla modesta presenza di competenze sui temi climatici e ambientali negli organi amministrativi aziendali e a un insufficiente sistema di reportistica, oltre a una scarsa formalizzazione di ruoli e responsabilità all’interno degli organi amministrativi.

Con riferimento al sistema di gestione dei rischi, si evidenziano carenze nell’azione di presidio da parte delle funzioni di controllo. Inoltre, è emerso il problema molto diffuso della difficile reperibilità di dati affidabili e utili alla misurazione dei rischi; in particolare, la qualità delle informazioni, raccolte principalmente da providers esterni, è risultata non adeguatamente valutata, tenuto conto delle carenti strategie di governo dei dati e della relativa insufficiente integrazione nei sistemi informativi aziendali.

Pur nel quadro di debolezza illustrato, prosegue l’approfondimento, l’analisi dei questionari ha comunque evidenziato numerose buone prassi preliminari, a testimonianza della varietà degli approcci adottati da parte degli intermediari non bancari. Si è per esempio rilevato che per quanto riguarda il modello di business e il connesso rischio strategico, alcuni intermediari hanno effettuato un’analisi del contesto aziendale e la valutazione della materialità dei rischi climatici, come prerequisito fondamentale per procedere alla definizione di strategie in materia di sostenibilità.

Al riguardo, è emersa anche la buona pratica dell’attuazione di un sistema di monitoraggio sul grado di conseguimento degli obiettivi ESG definiti in sede di pianificazione strategica, attraverso l’individuazione di specifici KPIs.
Con riferimento poi ai sistemi di governo e controllo alcuni intermediari hanno predisposto una specifica policy in materia di sostenibilità definendo le relative responsabilità in materia, attribuendo direttamente le competenze al Consiglio di Amministrazione oppure creando strutture organizzative ad hoc.

Altre società hanno previsto programmi di formazione per dipendenti e dirigenti e hanno incluso obiettivi di sostenibilità misurabili, non meramente formali, nelle proprie politiche di remunerazione; nell’ambito della gestione dei rischi, alcuni intermediari hanno avviato, o almeno pianificato, una prima mappatura degli effetti dei rischi climatici e ambientali sul proprio business per valutarne gli impatti sui diversi profili aziendali.