Forse non è tutta colpa del Credit Suisse

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Com’è noto, dopo il crollo in borsa, Credit Suisse ha annunciato l’intenzione di realizzare una fusione entro la fine del 2023 con UBS. Fino ad allora, Credit Suisse continuerà la sua attività come istituto indipendente. Durante la fase di integrazione, Credit Suisse insieme a UBS lavorerà con il massimo impegno per assicurare ai clienti un’agevole transizione e la piena continuità dei servizi. Le relazioni con la clientela e tutti i servizi erogati proseguono senza variazioni: fino alla fusione con UBS, Credit Suisse proseguirà la sua attività come di consueto e rimarranno invariati gli accessi all’online & mobile banking, che consentono di effettuare le transazioni desiderate. In caso di domande è disponibile in Svizzera il consulente personale o il numero telefonico 0848 880 840.

Sulla situazione di questi giorni abbiamo sentito il parere dell’economista Alessandro Arrighi

“La scienza economica, oltre che il buon senso, insegna che all’aumentare dei consumi aumentano i tassi di interesse” esordisce Alessandro Arrighi.

“La cosiddetta “mano invisibile”, ossia il meccanismo di auto riequilibrio dei mercati, fa in modo, che al crescere dei tassi di interesse, il denaro valga e costi di più. Semplificando: il denaro è, da questo punto di vista, un bene, come tutti gli altri e se vale e costa di più, essendo il tasso di interesse il prezzo del denaro, la gente è meno propensa a scambiarlo con i beni; in questo modo, le persone consumano di meno e così i prezzi tornano a scendere o almeno diminuisce il tasso di inflazione. La scorciatoia per fare diminuire l’inflazione è quella per cui la Banca Centrale, aumenta i tassi, ottenendo lo stesso scopo. Tecnicamente, si scambia recessione, con inflazione, perché l’inflazione è considerata un male”.

Intervista all’economista Alessandro Arrighi

Ma cosa succede se i prezzi sono invece aumentati perché c’è una guerra, anziché perché sono aumentati i consumi?

“L’effetto recessivo, in questo caso, ovviamente viene decisamente amplificato perché l’aumento dei prezzi non è dovuto a un meccanismo di crescita, che sta funzionando “troppo bene”, ma al contrario è esso stesso determinato dalla scarsità. I beni che devono essere acquistati costano troppo perché sono difficili da reperire e quindi i prezzi aumentano. Quando aumentano anche i tassi di interesse, in pratica le persone si trovano a pagare tassi di interessi spropositati per i mutui e contemporaneamente prezzi più alti per i beni che devono acquistare, senza che gli stipendi possano salire, poiché, in effetti, l’inflazione non è quella determinata dallo sviluppo, ma, come detto, dalla scarsità”.

Questo aspetto vale solo per i privati o anche per le imprese?

“Questo vale a maggior ragione per le imprese, che non possono più investire perché i prezzi degli impianti da comprare sono troppo alti, ma soprattutto troppo alti sono i prezzi dei finanziamenti che servirebbero all’impresa e, a differenza di quello che succede nel caso dello sviluppo, le imprese medesime non possono aumentare i prezzi. Ma non solo, spesso non riescono nemmeno più a trovare le persone da assumere, perché allo stesso livello di salario le persone non sono disponibili a lavorare e d’altronde, essendo aumentati i prezzi di acquisto dei beni “scarsi”, e non potendosi aumentare quelli di vendita a causa della recessione, le imprese falliscono”.

Le banche, e il Credit Suisse in particolare, hanno affrontato lo stesso problema?

“Tragicamente, in un sistema capitalistico avanzato come il nostro, le prime imprese a fallire sono proprio le banche, che, per effetto della politica di aumento dei tassi, pagano troppo la loro materia prima, ossia il denaro. E in un sistema in piena recessione, in cui le imprese di produzione e le famiglie non riescono più ad investire, le banche non riescono a vendere i loro prodotti, ossia il denaro al prezzo più alto, che consentirebbe l’equilibrio”.

Stiamo attraversando certamente un periodo storico contradditorio…

“Non solo: una guerra, purtroppo, al di là delle considerazioni etiche, è un elemento capace di fare saltare, quantomeno nel medio termine, il meccanismo della mano invisibile e questo diventa molto più evidente, se quella guerra non è in un altro continente economicamente lontano, come accade per i disordini in Africa o nel Medio Oriente, ma nella nostra Eurasia, in cui i Paesi sono connessi in modo indissolubile”.

Tutto questo sarebbe diverso nel continente americano?

“L’economia europea non è quella americana: quest’ultima, già in pieno sviluppo prima della guerra, dal conflitto può persino avvantaggiarsi; basti guardare l’effetto benefico sul dollaro che, infatti, si è apprezzato consistentemente sull’euro. La Fed pertanto può giustamente alzare i tassi e , forse, pagare anche il fallimento di qualche banca come la Silicon Valley Bank; non è indolore, ma è sostenibile per un sistema in crescita, e dove comunque c’è la necessità di rallentare la velocità dell’economia e fare diminuire i tassi di crescita e quindi quelli dell’inflazione. L’Europa rimane orfana di un pezzo integrante, non solo della propria civiltà, ma dal punto di vista economico anche di un pezzo del proprio mercato, che inevitabilmente si sposta verso la Cina”.

Come possiamo concludere questa intervista?

“Così: siamo noi ad essere isolati da quella stessa Eurasia che resta integra e compatta senza di noi, geograficamente isolati e sempre più satelliti dei ricchi Stati Uniti. Nel momento in cui perdiamo un pezzo così importante del nostro mercato, in termini di capacità di acquisto (gas, combustibili, ma anche prodotti delle terre rare), la politica economica restrittiva rischia di essere un suicidio per l’Europa, e per i Paesi più deboli come l’Italia l’omicidio sembra ineluttabile.

La Svizzera sembra tragicamente essere stata solo la più efficiente nell’avere interpretato quello che sta per accadere. Non si negano difficoltà strutturali dell’istituto Credit Suisse già prima della guerra e della politica della Lagarde, ma stiamo parlando di una banca riconosciuta come storicamente tra le più solide di Europa e forse del mondo, in un Paese che, avendo una moneta nazionale, avrebbe avuto la possibilità di intervenire in modo molto più ampio di quello che succederà nei paesi europei.

Se non vi sarà un’inversione importante della rotta, questo è solo l’inizio”.