Situazione e prospettive di previdenza complementare

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La Covip è stata ascoltata dalla Commissione permanente Affari sociali, Sanità, Lavoro pubblico e privato, Previdenza sociale del Senato nell’ambito di un ciclo di incontri su previdenza e sanità. Quali sono le principali evidenze? Viene sottolineato in primo luogo come l’articolazione del sistema previdenziale su più pilastri, con una parte obbligatoria a ripartizione e una volontaria a capitalizzazione, rafforza le capacità del sistema di fare fronte a shock di diversa natura, mitigando così il rischio di prestazioni previdenziali inadeguate. In questa prospettiva, l’accessibilità al pilastro a capitalizzazione è un elemento fondamentale di sostenibilità sociale e finanziaria del sistema nel suo complesso.

I dati sulle adesioni alla previdenza complementare mostrano aree di ridotta inclusione previdenziale sia di tipo generazionale (la partecipazione alla previdenza complementare dei soggetti under 35 è pari al 23,9 per cento, inferiore di circa due quinti a quella delle fasce di età centrali (35-54 anni), che di genere (il tasso di partecipazione delle donne, 30,9 per cento, è pari a quattro quinti di quello degli uomini (37,5 per cento) e territoriale (i tassi di partecipazione più elevati si registrano nelle aree più ricche del Paese: in media tra il 35 e il 40 per cento delle forze di lavoro, con punte del 45-50 per cento laddove l’offerta previdenziale è integrata da iniziative di tipo territoriale)
i contributi per singolo iscritto ammontano mediamente a 2.790 euro. Circa il 25 per cento degli iscritti contribuisce con meno di 1.000 euro; la percentuale sale al 31,8 per cento nei fondi negoziali per effetto di un’ampia platea di lavoratori che versano il solo contributo contrattuale. Il 14,2 per cento degli iscritti versa tra 1.000 e 2.000 euro; il 10,2 per cento tra 2.000 e 3.000 euro. Alle classi successive appartiene un numero via via inferiore di iscritti; fa eccezione la fascia di versamento tra 5.000 e 5.500 euro, che include il limite di deducibilità fiscale dei contributi, fissato dalla normativa in 5.164,57 euro, alla quale appartiene il 3,9 per cento degli iscritti.

Sul periodo di osservazione relativo al decennio 2012-2021 il rendimento netto medio annuo composto, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, riferito alla media dei comparti di investimento, è stato del 4,1 per cento per i fondi negoziali e del 4,6 per i fondi aperti; nei PIP si è attestato al 5 per cento per le gestioni di ramo III e al 2,2 per quelle di ramo I. Le differenze di rendimento tra le diverse forme sono correlate positivamente alla quota di azioni presente nei rispettivi portafogli. Su analogo orizzonte temporale la rivalutazione annua composta del TFR è stata dell’1,9 per cento. Aggiungendo a tale decennio i primi nove mesi del 2022, i rendimenti medi annui restano positivi: 2,7 per cento per i fondi pensione negoziali, 3 per cento per i fondi aperti e 3,3 per cento per i PIP di ramo III; sono pari al 2,1 per i prodotti di ramo I. La rivalutazione del TFR nello stesso periodo è del 2,2 per cento.

Andando alle proposte si auspica in primo luogo una stabilità normativa che rappresenta una condizione necessaria per l’ordinato sviluppo del sistema. Non deve sfuggire che il risparmio previdenziale non solo guarda ad orizzonti tipicamente lunghi ma anche presenta caratteri di parziale irreversibilità. Il susseguirsi di interventi normativi, anche potenzialmente contraddittori, alimentando la volatilità normativa, rischia di scoraggiare le adesioni, abbassare le contribuzioni e più in generale di ridurre il grado di affidamento nel sistema nel suo complesso.
Dal punto di vista fiscale l’efficacia dei vantaggi fiscali concessi alla previdenza complementare, intesa come capacità di accrescere il bacino degli iscritti e dei flussi contributivi, andrebbe valutata tenendo conto anche di obiettivi in termini di equità ed inclusione.

In questa prospettiva, non appare prioritario l’innalzamento del limite di deducibilità, considerando che solo i lavoratori delle fasce di reddito più elevate sono in grado di dedurre i contributi fino al limite massimo, come mostrato da un contributo mediamente pari, come già detto sopra, a 2.790 euro. Per converso, è la crescente incidenza di carriere discontinue e frammentate, spesso accompagnate da curve salariali piatte, che dovrebbe indurre a riconsiderare il complesso di strumenti destinati ad incentivare il risparmio previdenziale. Si deve rilevare che chi più avrebbe bisogno di un’integrazione al reddito pensionistico formato attraverso la previdenza obbligatoria è in realtà meno in grado di partecipare alla previdenza complementare, sia in quanto redditi di lavoro bassi e discontinui non consentono al lavoratore di contribuire, sia per l’applicazione di contratti di lavoro non tradizionali, che spesso non beneficiano di un contributo specifico a carico del datore di lavoro. Complessivamente, gli attuali incentivi fiscali non appaiono ben mirati rispetto ai segmenti del mercato del lavoro più fragili e perciò più bisognosi di protezione sociale. Andrebbero rimodulati in funzione del reddito degli iscritti per costruire un risparmio previdenziale anche da parte delle classi di reddito più basse. Ad esempio, prevedendo un intervento diretto dello Stato a sostegno delle posizioni pensionistiche di determinate categorie, e in particolare delle fasce di età più giovani.

Quest’ultimo meccanismo avrebbe il vantaggio di rendere ‘tangibile’ il beneficio monetario dell’agevolazione, al contrario della deduzione la quale, confusa fra le altre voci della busta paga, è di non immediata e agevole percezione da parte del lavoratore; inoltre, esso non sarebbe regressivo, evitando effetti redistributivi indesiderati. Ulteriori interventi diretti a tenere meglio conto della diffusione di percorsi di carriera più discontinui potrebbero andare nella direzione di definire alcuni meccanismi di incentivo, come ad esempio i limiti ai contributi deducibili, non più su base annuale bensì pluriennale, evitando così di penalizzare coloro che non sono in grado di destinare ogni anno alla previdenza complementare un flusso stabile di contributi e per altro verso incentivando l’adesione e la contribuzione di lavoratrici e lavoratori i cui redditi sono più volatili, come in molti casi del variegato panorama del lavoro autonomo.

Una nuova spinta alla crescita della previdenza complementare può derivare anche dalla revisione dei meccanismi di adesione alla stessa. In particolare, la proposizione del silenzio-assenso potrebbe oggi essere meglio realizzata tramite l’utilizzo di procedure on-line, che non ostacolino per i singoli lavoratori interessati una eventuale scelta di non partecipazione, ma che al tempo stesso chiariscano in modo oggettivo, nell’informazione fornita a supporto delle scelte da compiere, i vantaggi dell’adesione. Al contempo, sarebbe importante che le scelte di partecipazione venissero periodicamente riviste, per accomodare quelle esigenze di maggiori consumi in età giovani che prevengono la capacità di risparmio lungo il ciclo vitale.

Incidentalmente, anche al di là delle decisioni che si dovessero assumere circa un rinnovo dell’adesione automatica ai fondi pensione, il sistema della previdenza complementare beneficerebbe di un’assai più ampia diffusione dell’uso di procedure di adesione on-line. Ciò sarebbe coerente con l’uso delle tecnologie di informazione e comunicazione da parte di fasce sempre più ampie di utenti nell’acquisizione di beni e servizi. Bisogna oltretutto considerare che i PEPP (Pan-European Personal Pension Products), i prodotti pensionistici individuali pan-europei ormai in fase di avvio, saranno con tutta probabilità collocati principalmente on-line.

Inoltre, sempre nella prospettiva di disegnare meccanismi di auto-enrolment il più possibile efficaci, la linea di default che accoglie gli iscritti silenti dovrebbe essere non più una linea garantita, bensì una basata sull’approccio life-cycle, che sfrutti il lungo orizzonte temporale dell’investimento previdenziale tramite una esposizione iniziale più elevata per i titoli azionari, caratterizzati da maggiore volatilità ma pure da rendimenti attesi più elevati, e una progressiva riduzione di tale esposizione via via che si avvicina il pensionamento.
In generale, e sulla base delle indicazioni fornite dalle esperienze internazionali, un meccanismo di adesione automatica per sortire gli effetti per cui è disegnato deve avere un funzionamento semplice, deve rendere immediatamente chiari e percepibili i benefici dell’adesione e deve essere adottato in fasi di relativa stabilità dei mercati finanziari. Infine, l’adesione automatica ai fondi pensione andrebbe accompagnata da una campagna informativa e di educazione previdenziale ben strutturata e coerente con il disegno complessivo dell’operazione.