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E se non tutto il Pnrr fosse oro? Salvo una rivoluzione culturale della politica sulle imprese

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NextGenerationEU

Favorire un cambiamento dell’economia partendo dal contrasto alle disuguaglianze territoriali, generazionali e di genere e rilanciare il Paese, puntando sulla transizione ecologica e digitale, sono gli obiettivi di fondo su cui il PNRR è stato costruito, per attingere ai fondi messi a disposizione dal piano europeo NextGenerationEU.

Il PNRR, per come è elaborato, parte dalla giusta convinzione che solo attraverso un efficientamento strutturale, la cui modernità dovrebbe essere garantita dalla digitalizzazione del sistema economico e da un approccio ecologico, sia possibile il cambiamento strutturale dell’economia.

Tale assunto appare certamente corretto, ma, a mio giudizio, non è solo insufficiente, ma rischia addirittura di creare un ulteriore indebitamento durevole del Paese, senza averne gli sperati risultati in termini di durevole incremento del Pil, se, a fronte dell’importante apporto finanziario, non viene contestualmente operata una rivoluzione culturale delle politica sulle imprese.

Gli imprenditori italiani hanno paura

Non esiste imprenditore, per quanto attento al corretto calcolo delle imposte, che non sia colto dal panico quando inizia una verifica fiscale. Il clima di collaborazione tra cittadino e fisco, che aveva ispirato molti propositi degli anni ’90, non si è mai realizzato. Lo statuto dei contribuenti è considerato da chi, come me, fa il commercialista, come la più disattesa delle leggi. La riforma del fallimento al di là delle questioni nominalistiche, che hanno cambiato il nome dell’estrema procedura, in liquidazione giudiziale, restano incentrate sulla tutela del credito e la punizione dell’imprenditore fallito, considerato, già per questo, sospetto di malaffare. La giustizia è drammaticamente lenta quando deve punire chi abusa in modo illecito del sistema, ma il dramma si fa tragedia, quando impiega decenni per assolvere l’imprenditore ingiustamente accusato, o, anche semplicemente, per consentirgli di recuperare un credito incagliato. Per fare un passaporto possono volerci mesi. I rimborsi fiscali non arrivano. Gli imprenditori che hanno investito denaro in ponteggi e immobilizzazione tecniche, perché il credito di imposta del 110 per cento avrebbe dovuto durare sono rimasti spiazzati. È un sistema in cui l’imprenditore non è tranquillo: non riesce a fare previsioni.

Ormai, da tempo, all’estero, gli imprenditori concordano le imposte che pagheranno negli anni futuri, che peraltro potranno essere ridotte in caso di eventi eccezionali e, poi, pagano e  dormono sogni tranquilli. In Italia consentire la programmazione dei flussi non sembra un obiettivo.

La tranquillità dell’impresa

Non possono esistere né efficienza né efficacia, senza tranquillità da parte dell’imprenditore. La tranquillità dell’impresa, in termini di crescita “pacifica”, è peraltro l’unica via, per una crescita salariale che possa allineare il potere di acquisto dei lavoratori italiani con quelli esteri, rigenerando fiducia sociale.

Una politica economica, al di là di tutto, può dirsi inclusiva, come vorrebbe il PNRR, solo se consente a chi lavora un livello accettabile di vita. Il sistema di impresa, stritolato dalla burocrazia italiana e da un sistema politico che non risolve quelle problematiche socio-culturali, prima ancora di quelle tecniche, non potrà essere risanato e quindi non potrà decollare. Ma, se le imprese arrancano gli stipendi rimangono bassi e una fascia sempre più spessa, specialmente dei giovani, rifiutano di lavorare al salario corrente. In questo soqquadro, sarà impossibile soddisfare efficacemente gli obiettivi del PNRR, o, peggio, se virtualmente l’Italia dovesse riuscire a dimostrare di soddisfarli e ottenere così le successive tranche del finanziamento, il rischio è quello che il risultato sia solo un appesantimento dell’indebitamento generale da lasciare ai nostri figli, nel frattempo sempre più poveri.


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