La Cina non farà boom

Gerwin Bell, Lead Economist per l’Asia del team Global Macroeconomic Research di PGIM Fixed Income -

Negli ultimi due mesi si è assistito a un’improvvisa inversione di tendenza nella percezione degli investitori sulle prospettive economiche della Cina: dall’euforia per un dato sul PIL del primo trimestre migliore delle attese alla profonda depressione dei dati di aprile, decisamente deludenti. Secondo il nostro scenario di base, la ripresa continuerà a necessitare di un forte sostegno delle politiche.

È notevole la rapidità con cui l’allentamento degli stimoli da parte della Cina ha rivelato la scarsa domanda interna. Con una produzione industriale straordinariamente debole e una crescita dei consumi ben al di sotto delle aspettative di molti analisti sell-side, è chiaro che lo slancio di riapertura della Cina non sarà sufficiente da solo a raggiungere l’obiettivo di crescita del 5% fissato dal nuovo governo.

Ciononostante, manteniamo la nostra previsione di crescita del 5,7% per l’anno in corso, grazie alla nostra convinzione che la Cina invertirà la rotta e adotterà una politica fiscale molto più stimolante. Le autorità hanno tenuto il pilota automatico fino ad aprile, ma tre fattori importanti potrebbero presto forzare la mano.

Per cominciare, la Cina non sembra in grado di raggiungere gli Stati Uniti in termini di resilienza dei consumi. La spinta alla spesa al consumo data dalla riapertura in Cina è stata in gran parte trainata da un rimbalzo nei servizi, il settore che ha sofferto di più i lockdown. I lavoratori cinesi, in generale, non hanno accumulato risparmi in eccesso durante la pandemia, e il Paese non ha assistito all’esplosione di una domanda repressa e di una “revenge spending” che ha alimentato maggiori consumi altrove. Ad oggi, la crescita dei consumi reali si attesta al 7,2%, poco impressionante dopo i minimi della chiusura di Shanghai dello scorso anno.

In secondo luogo, mentre i prezzi degli immobili si sono impennati a livello globale, i prezzi registrati in Cina continuano a calare, mentre le case in costruzione, le compravendite e altre statistiche rivelano un settore in profonda contrazione. Questi dati aumentano i timori che la politica cinese delle “tre linee rosse” sia stata troppo restrittiva e abbia danneggiato in modo permanente la fiducia delle famiglie nell’immobiliare in quanto bene sicuro.

Poiché la ricchezza delle famiglie è in gran parte detenuta in immobili, questo è diventato un altro importante freno ai consumi. Ma anche le vendite di terreni sono una fonte di entrate cruciale per i governi locali, che le hanno utilizzate per aumentare gli stimoli fiscali anticiclici. Anche con un’ampia disponibilità di credito, le amministrazioni locali non hanno ancora i fondi per investire nelle infrastrutture tanto necessarie.

Il terzo fattore è il mercato del lavoro, che comincia a sembrare preoccupante per il nuovo governo. In particolare, la disoccupazione giovanile è salita a un massimo storico, sopra il 20% in aprile. Questo prima che un’altra tornata di neolaureati inizi a cercare lavoro, una bomba a orologeria che il nuovo governo dovrà disinnescare per evitare potenziali disordini sociali.

La Cina sta già combattendo contro questi fattori sfavorevoli attraverso la politica monetaria, come dimostrano la notevole crescita del credito, il calo dei tassi di interesse e il deprezzamento della valuta.

Ora sarà la volta della politica fiscale, in particolare per affrontare le gravi difficoltà delle amministrazioni locali attraverso trasferimenti espliciti e/o impliciti da parte del governo centrale. Sono già in programma alcuni stimoli ai consumi, in particolare per quanto riguarda le vendite di automobili, in cui l’eliminazione graduale degli incentivi fiscali lo scorso anno ha portato inizialmente a un forte calo, prima che venissero istituiti nuovi sussidi e incentivi. Se l’andamento debole dei consumi dovesse continuare, le autorità sono nella posizione per varare misure molto più ampie. Siamo fiduciosi che questa sarà la dinamica del mercato nei prossimi mesi.

Sebbene lo stimolo dovrebbe aumentare i prezzi degli asset, gli investitori non dovrebbero lasciarsi trasportare dall’euforia che ne deriva, così come non dovrebbero soccombere all’attuale malinconia. Nella migliore delle ipotesi, lo stimolo che ci aspettiamo sarà un altro gradino della scala che porta a carichi di debito ancora più elevati (e all’assunzione di responsabilità più esplicite da parte del governo centrale). I problemi a lungo termine della Cina rimangono: demografia sfavorevole, debito eccessivo e scarsa produttività. Per affrontarli saranno necessarie profonde riforme orientate al mercato.

Il senso comune vuole che la crescita dell’economia cinese faccia salire i prezzi delle materie prime e traini i suoi vicini dell’ASEAN, ma quest’anno non è andata così. Si può affermare che l’ASEAN sta trascinando la Cina. E la crescita dei consumi spinta dai servizi non aumenterà ovviamente la domanda di minerale di ferro australiano. La Cina varerà più stimoli di quelli che attualmente si riflettono sui prezzi delle materie prime, ma non darà il via a un nuovo “superciclo” e non raggiungerà nemmeno i livelli inebrianti del passato periodo di allentamento delle politiche. Gli investitori devono tenere gli occhi aperti e rimanere flessibili per trarre profitto da eventuali movimenti.