Obbligazioni ancora favorite nel secondo semestre

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All’inizio del 2023 il consenso prevedeva un rallentamento dell’economia americana, un calo dell’inflazione e un’accelerazione della crescita cinese. Dopo sei mesi possiamo dire che l’economia statunitense ha mostrato un’inaspettata tenuta, l’inflazione complessiva è scesa gradualmente mentre quella «core» si è dimostrata più persistente, e la ripresa della Cina dalla
pandemia ha deluso le attese.

Inoltre, le aspettative generali (comprese le nostre) erano di un ribasso degli indici azionari più ampi nel corso dell’anno, a fronte di una decelerazione della crescita degli utili. Invece l’S&P 500 ha messo a segno il secondo miglior primo semestre da vent’anni a questa parte, sospinto dalla forza dell’economia americana, dalla moderata crescita degli utili nominali trainata dall’inflazione e dall’entusiasmo per poche società legate all’intelligenza artificiale.

Nella nostra ultima Monthly Letter cerchiamo di capire le cause di questi andamenti; se la recessione degli Stati Uniti, la normalizzazione dell’inflazione e la ripresa della Cina siano solo rimandate o ormai annullate; e quali saranno le conseguenze sul piano degli investimenti.
In breve, i dati statunitensi sono stati senz’altro incoraggianti e la speranza degli investitori che la Federal Reserve (Fed) riesca a orchestrare un atterraggio morbido aumenta con la pubblicazione di ogni dato che conferma la tenuta della crescita e il rallentamento dell’inflazione. Detto questo, anche se il contesto macro è più favorevole di quello previsto a inizio anno, manteniamo la nostra preferenza per le obbligazioni di alta qualità rispetto alle azioni, per tre motivi principali. Primo, le quotazioni dell’S&P 500 ci sembrano scontare già le buone notizie sul fronte macroeconomico e quindi non sarà facile per il mercato continuare a salire nel resto dell’anno. Secondo, nei prossimi sei mesi ci aspettiamo un ulteriore calo dell’inflazione, ma anche un rallentamento della crescita americana, che potrebbe arrivare vicino allo zero.

Un contesto simile sostiene le obbligazioni, ma nel complesso non è favorevole alle azioni. Terzo, poiché l’entità degli effetti ritardati dei rialzi dei tassi effettuati finora è ancora incerta, potenzialmente persiste il rischio di recessione o di un errore di politica monetaria della Fed. Pertanto, nella nostra strategia globale preferiamo concentrare l’esposizione al rischio nel reddito fisso e sui cambi, anziché sovrappesare il mercato azionario statunitense.

In Cina ci aspettiamo che la recente decelerazione economica spinga le autorità ad allentare la politica monetaria e a varare interventi fiscali mirati di sostegno alla crescita. In questo quadro, vediamo diverse opportunità di posizionamento per gli investitori. Primo, il reddito fisso è la nostra asset class preferita. Puntiamo in particolare sulle obbligazioni di alta qualità, che offrono buoni rendimenti e possono proteggere i portafogli dal rischio di una recessione americana o di
un errore della Fed. Tra i segmenti più rischiosi del comparto preferiamo le obbligazioni dei mercati emergenti.

Secondo, manteniamo un approccio selettivo nei confronti dei mercati azionari. Ci concentriamo sulle aree che hanno sottoperformato durante il rally da inizio anno, tra cui le azioni emergenti e i titoli globali industriali e dei beni di prima necessità. Inoltre, gli indici equiponderati statunitensi possono continuare a salire in presenza di dati coerenti con un atterraggio morbido. Il rapporto rischio/rendimento degli indici americani ponderati per la capitalizzazione ci sembra invece meno vantaggioso, dato che l’alto peso di un ristretto numero di azioni tecnologiche fa salire sia le valutazioni complessive che i rischi idiosincratici.

Terzo, ci posizioniamo per un ulteriore indebolimento del dollaro. Il rallentamento dell’inflazione americana (l’indice generale dei prezzi al consumo è salito del 3% a giugno, segnando il minor incremento su base annua da marzo 2021) ha innescato un deprezzamento del dollaro, che è sceso ai minimi degli ultimi otto anni contro il franco svizzero. Consigliamo agli investitori di posizionarsi per un ulteriore indebolimento del biglietto verde nel nostro orizzonte di previsione. Manteniamo la nostra preferenza per lo yen giapponese e promuoviamo l’euro a preferito. Ci aspettiamo che
il cambio EURUSD salga a 1.18 entro giugno 2024. L’indebolimento del dollaro dovrebbe favorire anche le quotazioni aurifere e continuiamo ad apprezzare le qualità dell’oro come strumento di diversificazione e copertura dei portafogli.

Al centro dell’attenzione

Il rallentamento dell’inflazione statunitense rappresenta un ulteriore ostacolo per il dollaro
L’indice dei prezzi al consumo ha registrato un deciso rallentamento a giugno, riaccendendo la speranza che la Fed possa porre presto fine al ciclo restrittivo più rapido dagli anni ’80. L’inflazione generale è salita del 3% su base annua, l’incremento più modesto da marzo 2021 e in flessione rispetto al 4% di maggio. Anche il dato «core», che esclude le componenti volatili (alimentari ed energia), ha fatto segnare l’aumento più contenuto da più di due anni su base annua. Infine, l’inflazione nel settore dei servizi (che da qualche mese rappresenta la principale fonte di preoccupazione per le autorità) ha mostrato a sua volta una certa decelerazione.

Nonostante le notizie incoraggianti, dubitiamo che la Fed possa già cantare vittoria. Subito dopo la pubblicazione dei dati sull’inflazione il Presidente della Federal Reserve Bank di Richmond, Thomas Barkin, ha dichiarato: «Se la politica monetaria facesse marcia indietro troppo presto, l’inflazione
ricomincerebbe a salire con prepotenza, costringendo la banca centrale a intervenire ancora», un errore già commesso diverse volte negli anni ’70 e ’80. Dato che l’inflazione «core» si mantiene ampiamente al di sopra dei livelli coerenti con l’obiettivo del 2% della Fed e che il mercato del lavoro è in tensione, ci sembra probabile che venga effettuato un altro rialzo dei tassi.

Tuttavia, alla luce di questi dati è possibile che la banca centrale concluda presto il ciclo restrittivo e aumentano quindi le probabilità che il premio di tasso degli Stati Uniti si riduca ulteriormente. L’indice del dollaro DXY è sceso del 2,2% la scorsa settimana, registrando il ribasso settimanale più marcato da novembre. Questa fase di debolezza probabilmente proseguirà se, come crediamo, la Banca centrale europea e la Bank of England continueranno ad alzare i tassi. Ci aspettiamo anche un inasprimento della politica monetaria ultra espansiva della Bank of Japan nel secondo semestre, sulla scia dei dati economici positivi.

Conclusione: abbiamo un giudizio di meno preferito sul dollaro statunitense e di preferito su euro e yen giapponese. Inoltre, raccomandiamo agli investitori che hanno come valuta di riferimento la sterlina britannica o il franco svizzero di rafforzare l’esposizione al proprio mercato nazionale. In genere l’oro beneficia a sua volta di un indebolimento del biglietto verde e ci aspettiamo che tocchi nuovi massimi.

Il rapporto rischio/rendimento favorisce ancora il reddito fisso

Azioni e obbligazioni sono salite in tandem dopo l’andamento più positivo dei dati sull’inflazione americana di giugno. La scorsa settimana l’S&P 500 ha guadagnato il 2,4%, portando al 17,3% il rialzo da inizio anno. E il rendimento dei Treasury a 10 anni è sceso di oltre 20 punti base (pb) al 3,83%, da un massimo del 4,05% la settimana precedente, perché gli investitori hanno iniziato a scontare una traiettoria più bassa per l’inflazione e i tassi d’interesse a lungo termine.

Ma anche se un’inflazione più contenuta è favorevole per entrambe le asset class, a nostro avviso il rapporto rischio/rendimento favorisce ancora il reddito fisso rispetto alle azioni. Le buone notizie sono già in gran parte scontate dalle azioni statunitensi, che trattano a 19x gli utili prospettici, in linea con un rallentamento dell’inflazione, una crescita resiliente e il costante entusiasmo per l’intelligenza artificiale, che sostiene il settore tecnologico malgrado le valutazioni elevate. Di conseguenza, nel nostro scenario di riferimento ci aspettiamo ancora una performance modesta dell’azionario americano nel resto dell’anno, nonostante un certo recupero dei settori value che hanno sottoperformato.

Per contro, i rendimenti complessivi delle obbligazioni di qualità rimangono appetibili e le quotazioni dovrebbero salire da qui a giugno 2024. I rischi di recessione sono diminuiti, ma non sono scomparsi. I precedenti rialzi dei tassi per 500 pb non hanno ancora causato un rallentamento della crescita e un ulteriore rialzo di 25 pb appare probabile. Non è ancora detto che la Fed
riesca a contenere l’inflazione e al tempo stesso ridurre al minimo l’impatto sulla crescita.

Nei segmenti più rischiosi del reddito fisso, le obbligazioni dei mercati emergenti dovrebbero beneficiare del calo dell’inflazione nella regione, della crescente convinzione che la Fed stia per concludere il ciclo restrittivo e dei rendimenti al netto dei rischi tra i più alti su scala globale. Il debito sovrano in dollari offre un ottimo rendimento dell’8,4% in base all’indice EMBIG.

Conclusione: vediamo buone occasioni tra le obbligazioni con alto rating (governative), investment grade e sostenibili, nonché su alcune emissioni finanziarie senior. Le obbligazioni sovrane dei mercati emergenti sono tra le nostre posizioni preferite.

Il sostegno delle autorità cinesi al mercato immobiliare dovrebbe rafforzare il clima di fiducia

L’economia cinese ha registrato una crescita inferiore alle attese nel secondo trimestre e a giugno sia le vendite al dettaglio che gli investimenti immobiliari hanno deluso le attese, in base ai dati pubblicati il 17 luglio. Inoltre, la scorsa settimana la People’s Bank of China ha annunciato che rinnoverà il pacchetto di misure di supporto al settore immobiliare lanciato nel 2022. Le difficoltà del mercato degli immobili residenziali, che hanno pesato in modo particolare sulla crescita economica e sul sentiment del mercato, spiegano in parte perché la fine delle restrizioni pandemiche non abbia ancora dato l’impulso sperato.

Il calo dei prezzi delle case e la crescita stagnante dei redditi hanno spinto i consumatori a risparmiare anziché spendere e nel primo trimestre di quest’anno i risparmi in eccesso delle famiglie sono aumentati dell’11%. La debolezza del mercato immobiliare ha pesato anche sulla crescita degli investimenti e le aperture di nuovi cantieri sono scese del 23% su base annua. Pertanto, le ultime notizie circa la proroga degli aiuti al settore avvalorano la nostra convinzione che le autorità prenderanno nuove misure per stimolare la crescita. Ci aspettiamo nuovi tagli dei tassi in ambito monetario e ulteriori investimenti in infrastrutture sul piano fiscale. Per quanto riguarda i consumatori, dovrebbero proseguire anche gli interventi a livello settoriale a sostegno degli acquisti di veicoli elettrici, elettrodomestici e altri articoli costosi. La riunione di luglio del Politburo è il prossimo evento da cui potrebbero emergere segnali di ulteriori misure espansive.

Ci aspettiamo che gli stimoli monetari e fiscali diano sostegno alla crescita del PIL e, di riflesso, agli utili aziendali nei mercati emergenti. Il trend delle revisioni degli utili dell’MSCI China è diventato positivo a maggio e ci aspettiamo una crescita dei profitti del 14% per l’intero esercizio. Le valutazioni sono ancora convenienti: l’MSCI China tratta a 9,3x gli utili, un miglioramento di circa il 16% rispetto ai minimi della crisi toccati a ottobre.

Conclusione: manteniamo un giudizio di preferito sui mercati azionari emergenti nella nostra strategia globale, considerato che le azioni cinesi rappresentano circa il 30% dell’MSCI Emerging Markets.