Politiche monetarie restrittive e opportunità sull’obbligazionario

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Negli ultimi 15 mesi i principali istituti monetari hanno compiuto il più rapido rialzo dei tassi di interesse portandoli ai massimi da più di 20 anni. Proprio mercoledì scorso la Federal Reserve ha portato il costo del denaro alla forchetta compresa tra il 5,25% e il 5,5%, in quello che molti considerano come l’ultimo rialzo, mentre giovedì la Banca Centrale Europea ha seguito con un ulteriore aumento da 25 punti base. Queste aggressive azioni da parte delle banche centrali sono state attivate per frenare la crescita record dell’inflazione, che negli scorsi mesi ha toccato livelli record, sebbene, ora sia in calo. Nonostante ciò, le politiche monetarie restrittive sembrano essersi avviate verso una conclusione dovuta ai timori relativi alla tenuta dell’economia, specialmente nell’Eurozona. Negli Stati Uniti, invece, le probabilità di una recessione vanno svanendo alla luce dei dati macroeconomici estremamente solidi.

Tuttavia, se da una parte l’elevata inflazione e lo spettro di una recessione sovrastano i dossier dei banchieri centrali, dall’altra i problemi sono pressoché opposti. Agli antipodi si colloca il Giappone dove il neo-Governatore, Kazuo Ueda, continua a mantenere una politica monetaria ultra-espansiva con tassi di interesse negativi per lo 0,1%. L’obiettivo è quello di stimolare la crescita dell’inflazione e dei salari reali così da uscire da una cronica deflazione che affligge il Paese da più di un decennio. Restando in Asia, anche l’economia cinese continua ad arrancare stentando una decisa ripresa nonostante la fine della politica di zero tolleranza contro la diffusione del Covid-19. Questo è in contrasto con le previsioni degli economisti che stimavano una rapida crescita della domanda domestica e delle esportazioni insieme ad un conseguente aumento dell’inflazione. Contro ogni pronostico, l’economia cinese resta invece irrigidita da un’inadeguata spesa dei consumatori che sta alimentando i rischi di una deflazione e ha quindi costretto la PBoC, l’istituto monetario del paese, a ridurre ulteriormente i già bassi tassi di interesse, per stimolare una più decisa ripresa economica. In questo contesto di elevata incertezza il mandato delle banche centrali resta molto complicato con l’obiettivo di bilanciare abilmente crescita e stabilità dei prezzi senza però indebolire eccessivamente i fondamentali macroeconomici.

Tornando alle prossime mosse di Fed e BCE, i mercati si attendono uno stop ai rialzi dei tassi di interesse anche se entrambi i Governatori hanno lasciato intendere che rimangono aperti ad un altro aumento a settembre. I prossimi mesi saranno quindi cruciali per cogliere le future mosse di politica monetaria che potrebbero mutare le condizioni macroeconomiche di fondo. Questo scenario ha creato opportunità temporanee sul mercato obbligazionario grazie a rendimenti più elevati, che erano impensabili solo qualche anno fa, e che termineranno quando le politiche monetarie non saranno più così restrittive.

STOP ALL’ACCORDO SUL GRANO TRA RUSSIA E UCRAINA

La Russia ha deciso di ritirarsi dall’accordo sul grano con l’Ucraina, mediato a luglio 2022 dalle Nazioni Unite, per permettere agli esportatori ucraini di commerciare attraverso il Mar Nero. A seguito dell’annuncio, i prezzi dei future sul grano sono aumentati del 12% e quelli sul mais del 9%, date le aspettative di un calo dell’offerta. La Russia ha poi bombardato alcune città portuali ucraine, come Odessa, distruggendo decine di migliaia di tonnellate di grano e minacciando che le navi in arrivo verso il Paese verranno considerate potenziali trasportatrici di carichi militari.

Con l’inizio della guerra in Ucraina, i rialzi dei prezzi di alimenti ed energia hanno creato pressioni inflazionistiche. Ad ogni modo, dalla fine del 2022, grazie all’accordo, alla crescita della produzione russa di grano e di semi oleosi e alle esportazioni dell’Australia e del Brasile, i prezzi del grano e del mais sono diminuiti. Nelle ultime settimane, iniziavano a riassestarsi ai livelli dell’anteguerra, con ulteriori cali previsti dato l’avvio della stagione di raccolta. Secondo gli esperti, l’obiettivo della Russia è primariamente di causare un aumento dei prezzi delle materie prime, a scopo di supportare l’economia. Inoltre, la decisione potrebbe essere una rivendicazione per le sanzioni agricole imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Il grano e il mais vengono utilizzati per la produzione di molti alimenti, e dunque causeranno rialzi dei prezzi di questi ultimi. Ciò sarà particolarmente nocivo per i Paesi emergenti, che dispongono di uno scarso potere d’acquisto. Prima dell’accordo, infatti, la guerra aveva causato una crisi alimentare nelle regioni meno affluenti. Inoltre, l’Ucraina era il principale fornitore di grano del World Food Program, un’organizzazione benefica dell’ONU che acquista alimenti per gli aiuti umanitari. L’impossibilità dell’Ucraina di esportare liberamente le materie prime arriva subito dopo la crisi umanitaria ed alimentare peggiore degli ultimi 70 anni, verificatasi a giugno. Infine, le minacce russe contro le navi che commerciano con l’Ucraina causeranno rialzi dei loro premi assicurativi e potrebbero indurre molte aziende a interrompere i loro rapporti commerciali con il Paese. Questo eliminerebbe uno dei maggiori produttori concorrenti della Russia, rendendola maggiormente in grado di influenzare i prezzi del grano. Nel breve termine la decisione russa non avrà effetti particolarmente inflazionistici. Tuttavia, in futuro, il maggior impatto sui prezzi del grano del Paese potrà causare forti rialzi dei prezzi alimentari, rischiando di creare difficoltà alle banche centrali, che cercano di contenere l’inflazione, e ai consumatori che potrebbero ridurre i consumi a causa del calo del loro potere d’acquisto.