Ridurre la crescita oggi è necessario per supportare la crescita futura. Incognite Big Tech

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Gita Gopinah, la Deputy Managing Director del Fondo Monetario Internazionale, ha tenuto un discorso al Forum organizzato dalla BCE, annunciando tre “verità scomode” di cui le banche centrali dovranno tenere conto nelle loro politiche monetarie.

Secondo il FMI, le banche centrali hanno sottovalutato l’inflazione e la difficoltà che avrebbero avuto nel controllarla. Ad oggi, l’inflazione è maggiore di quanto era stato previsto mesi fa. Infatti, le previsioni degli economisti tra fine 2022 e inizio 2023 mostravano tagli ai tassi d’interesse già a metà di quest’anno (grafico sopra rappresentato). Inoltre, nonostante le banche centrali sottolineino che procederanno con i rialzi dei tassi, molti investitori sostengono che l’inflazione scenderà rapidamente ai livelli target senza un particolare effetto sull’economia. Tuttavia, la solidità del mercato del lavoro favorisce la crescita dei salari e i risparmi dei consumatori rimangono ancora elevati, così come la pent-up demand, ovvero la domanda che si è accumulata durante la pandemia. Questi elementi supportano le pressioni inflazionistiche, portando ad una conclusione scomoda: le banche centrali potrebbero continuare le loro politiche monetarie restrittive, anche a costo di diminuire la crescita economica. In secondo luogo, il FMI ha discusso le tensioni tra la stabilità finanziaria e la stabilità dei prezzi, generate dai problemi del sistema bancario (si ricordino le vicende di SVB e Credit Suisse).

Se gli stress delle istituzioni finanziarie dovessero rimanere moderati, le banche centrali non dovrebbero adottare misure aggiuntive. Invece, se gli stress delle singole istituzioni dovessero diventare sistemici, è possibile che i governi non abbiano abbastanza risorse per le politiche fiscali necessarie a supporto del sistema bancario. Di conseguenza, le banche centrali potrebbero dover tener conto di ciò, accettando un ritorno al target d’inflazione più lento per evitare una crisi sistemica. In futuro le banche centrali dovrebbero prevenire questi problemi, aumentando i controlli sul sistema, la quantità di capitale che le banche dovranno tenere nei bilanci e le regolamentazioni per ridurre il debito pubblico. Infine, il FMI ha ricordato che a lungo termine ci saranno pressioni inflazionistiche più significative rispetto al passato, causate dalle tensioni geopolitiche e dalla ristrutturazione delle catene di fornitura. Questo potrebbe dare luogo a shock duraturi sui prezzi e le banche centrali potrebbero reagire aggressivamente, mantenendo come obiettivo unico la stabilità dei prezzi. Ridurre la crescita economica oggi con le politiche monetarie restrittive è necessario per supportare, in modo sostenibile, la crescita futura.

IL RALLY DEL TECH

Il big tech è stato tra i maggiori perdenti del 2022. Partendo da valutazioni alte, i titoli del settore sono crollati quando le banche centrali hanno iniziato i rialzi dei tassi. Di conseguenza, parte del recente rally del settore è attribuibile a una ripresa dall’anno scorso, quando c’era un’inflazione più elevata e maggiore incertezza. Nel 2023, la politica monetaria ha influito meno sul tech: gli investitori credono che i rialzi dei tassi termineranno presto e non prevedono un crollo economico. Inoltre, il boom dell’intelligenza artificiale ha suscitato una crescita significativa del settore, con l’indice Nasdaq 100, incentrato sulla tecnologia, che è cresciuto del 38% da inizio anno. Tuttavia, la maggior parte della performance è attribuibile a 6 delle principali aziende del settore: Meta, Microsoft, Nvidia, Apple, Alphabet e Amazon. Analizzando l’indice Nasdaq 100, notiamo che quest’ultime contribuiscono alla performance totale del 38% circa per 26,77 punti.

Cosa ci aspettiamo per il futuro del big tech? Nel breve termine, certi analisti si preoccupano della mancanza di una crescita elevata e sostenibile del fatturato. Infatti, il recente miglioramento dei margini di profitto di alcune aziende è causato principalmente da tagli dei costi e non da un aumento delle vendite. Inoltre, molti investitori sostengono che il big tech abbia rapporti prezzi-utili troppo elevati, il che significherebbe che le valutazioni delle aziende sopravvalutate potrebbero scendere in futuro. Analizzando i possibili effetti della politica monetaria restrittiva negli Stati Uniti, dove è situata la maggior parte delle aziende del big tech, si osservano diversi scenari. Se i rialzi dei tassi non dovessero causare una recessione moderata, ma un rallentamento più significativo, i titoli del settore potrebbero scendere. Ad ogni modo, anche se non ci fosse una recessione, e quindi la Fed decidesse di continuare ad alzare i tassi d’interesse, le aziende del tech potrebbero risentirne. Infatti, crescerebbe il costo del debito e diminuirebbero le valutazioni, dato che i flussi di cassa futuri verrebbero scontati maggiormente. Infine, le tensioni geopolitiche tra Stati Uniti e Cina, e i dazi che ne conseguono, aumenteranno i costi di produzione. Nel lungo termine, l’inasprimento del quadro normativo, particolarmente nell’Unione Europea, potrebbe creare alcuni problemi ai business del big tech. Per sostenere la redditività e per fidelizzare la clientela le aziende del settore dovranno proporre nuovi servizi e alcune si stanno già muovendo in tal senso. Apple, per esempio, offre il servizio Pay Later, che permette ai clienti di pagare i loro acquisti in più rate. Inoltre, la digitalizzazione dell’economia, un trend che si prolungherà per decenni, potrà portare un importante beneficio. ll big tech dovrà trarne concretamente vantaggio, in termini di profittabilità, sfruttando le nuove tecnologie disruptive offerte dall’intelligenza artificiale.