Downgrade USA una “non notizia”, recessione slitta a 2024

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La notizia del declassamento del merito di credito sovrano degli Stati Uniti da AAA a AA+ non ci preoccupa e non sembra preoccupare neppure il mercato. Tutti i fattori e le motivazioni esposte dall’agenzia di rating, incluse la questione del tetto del debito, l’aumento del deficit e l’incremento del rapporto debito/Pil sono già noti.

Avrebbe potuto essere un problema una reazione con vendite tecniche se gli investitori fossero stati sensibili al rating sui Treasury ma così non è: gli investitori negli indici non guardano al rating quindi l’evento non ha avuto di fatto alcun impatto.

Nel 2011, quando questo accadde per la prima volta e S&P declassò il merito di credito degli Stati Uniti, ci si iniziò a chiedere che cosa sarebbe successo se fosse arrivato un altro downgrade e molti investitori avessero cambiato la propria politica di investimento scegliendo di investire in titoli di stato Usa a prescindere dal rating sovrano. Penso che il mercato fosse preparato.

Sul fronte obbligazionario stiamo assumendo una visione di lungo periodo che sta diventando ancora più di lungo periodo: alla fine i rialzi dei tassi Fed e il deterioramento delle condizioni di finanziamento rallenteranno l’economia e sfoceranno in una recessione e stiamo cercando segnali che confermino questo scenario. E alcuni segnali ci sono: l’inversione della curva dei rendimenti, standard sui prestiti più rigidi, la Senior Loan Officer survey, ci sono indicazioni sul mercato del lavoro con la Jolt Survey. Ma altre informazioni che arrivano allo stesso tempo sempre dal mercato del lavoro, l’andamento dei consumi e degli utili societari, sembrano dirci che l’economia non cambierà direzione presto.

Stiamo cercando indicazioni prospettiche nel mercato del lavoro e in quello del credito e queste stanno emergendo, ma molto lentamente.

Il mercato si sta adagiando sullo scenario di un “atterraggio morbido”. L’ultima volta che si è parlato molto di “soft landing” è stato a inizio marzo quando poi ci sono state le crisi bancarie. Prima si era sentito parlare di “atterraggio morbido” nel 2006, 2007 e anche all’inizio del 2008 prima della peggiore crisi finanziaria e recessione fino allo scoppio della pandemia.

La nostra view di lungo periodo non è in nessuno modo influenzata da un consensus che va nella direzione opposta. Ne capiamo i motivi. Vuol dire che la Fed dovrà rimanere “falco” e tenere il piede sul freno più a lungo e questo forse aumenta paradossalmente le probabilità di un “atterraggio duro”. Se la Fed dovrà fare “overtightening”, concentrandosi su indicatori in ritardo sul ciclo che arrivano dal mercato del lavoro e sull’inflazione, potrebbe portarla, a mio avviso, a rimanere più restrittiva più a lungo.

Per noi la recessione invece che avvenire nel 2023, arriverà probabilmente a metà 2024.

A livello dei diversi segmenti del mercato obbligazionario Usa, pensiamo che il credito high yield offra rendimenti ancora interessanti con coupon del 7%, che rappresenta un cuscinetto alla possibile volatilità dei prezzi. Ma non pensiamo che questa asset class remuneri meglio rispetto ad altre aree del mercato di qualità più alta come i Treasuries e il credito investment grade perché ci aspettiamo che il differenziale di rendimento sul credito sia destinato ad allargarsi a mano a mano che entriamo in una recessione.