La deforestazione in Brasile: minaccia al cambiamento climatico e rischio per gli investitori

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Gli ecosistemi brasiliani hanno un valore ambientale, sociale ed economico di grande importanza, sebbene durante la presidenza di Jair Bolsonaro vi sia stato un peggioramento della loro condizione a causa di una scarsa protezione ambientale. Il ritorno di Lula alla guida del Paese ha dato un nuovo impulso agli sforzi contro la deforestazione, sebbene il Presidente debba affrontare notevoli ostacoli per riuscire a spostare l’ago della bilancia verso un’effettiva tutela della biodiversità e l’adozione di una produzione sostenibile e socialmente responsabile.

Il deterioramento della foresta pluviale

Gli habitat naturali del Brasile sono incredibilmente preziosi per molteplici ragioni. Il paese ospita circa il 15-20%[1] della diversità biologica mondiale, inclusi due hotspot di biodiversità (il Cerrado e la Foresta Atlantica), e il 60% della foresta pluviale amazzonica. Questi habitat hanno un importante valore socio-economico; il contributo dell’Amazzonia all’economia brasiliana è infatti pari a 8,2 miliardi di dollari[2]. Tuttavia, questi preziosi habitat subiscono un deterioramento sistematico. I principali settori responsabili sono: l’allevamento di bovini, la produzione di soia e le miniere aurifere illegali. La produzione di bestiame è la causa principale di oltre il 70% della deforestazione nell’Amazzonia brasiliana[3], che per lo più avviene in modo illegale[4]. A questa segue la produzione intensiva di soia che è responsabile della conversione, per lo più legale, dell’habitat nella savana del Cerrado ad uso agricolo. Infine, l’estrazione illegale dell’oro ha un impatto ancora più insidioso, dato che società estrattive illegali invadono le riserve indigene e le aree protette dell’Amazzonia, diffondendo violenza, malattie e inquinamento. Si stima, infatti che in Brasile vivano quasi 900.000 popoli indigeni. I prodotti finali di questi tre settori confluiscono nelle supply chains globali, con il rischio di coinvolgere anche aziende non brasiliane.

Figura 1. La deforestazione nell’Amazzonia brasiliana si è drasticamente ridotta sotto il governo Lula ed è pressoché raddoppiata sotto Bolsonaro

Fonte: Programma per il calcolo della deforestazione in Amazzonia (PRODES), INPE, grafico tratto dal Carbon Brief

 

La situazione si è aggravata durante la presidenza di Jair Bolsonaro (2019-2022), sotto la cui amministrazione gli enti governativi addetti al monitoraggio ambientale hanno subito una riduzione del loro budget di oltre il 30%[5]. In soli quattro anni, la perdita di habitat in Amazzonia e nel Cerrado ha toccato livelli che non si vedevano, rispettivamente, da 15 e 7 anni. Solo nel 2022, il Brasile ha perso un’area di habitat equivalente alle dimensioni di Israele. La vittoria elettorale di Lula da Silva a ottobre 2022 ha inaugurato una nuova era e un progressivo ritorno di politiche di tutela delle foreste del Brasile. In particolare, tenendo fede ad uno dei punti cardine della sua campagna elettorale, ovvero l’azzeramento della deforestazione dell’Amazzonia entro il 2030, il Presidente Lula ha firmato un pacchetto di sette provvedimenti esecutivi finalizzati a controllare la deforestazione, rinsaldare le istituzioni ambientali del paese e restituire i principali poteri al Ministero dell’Ambiente. Tuttavia, gli sforzi per contrastare la deforestazione si scontrano con numerosi ostacoli. Tra questi, il Congresso brasiliano è composto per la maggior parte da conservatori, che formano la più ampia coalizione organizzata nel gruppo dell’agribusiness, con l’interesse e il potere di ostacolare le riforme proposte.

I rischi connessi agli investimenti

La deforestazione in Brasile pone rischi finanziari rilevanti. La Banca mondiale stima che il valore della foresta pluviale amazzonica superi i 317 miliardi di dollari l’anno[6] – circa sette volte di più del valore aggregato dell’agricoltura estensiva, dell’industria del legname e di quella mineraria. Sulla base di questi dati, è necessario impegnarsi per dialogare sia con il governo brasiliano che con le aziende legate alla deforestazione. Con una perdita di foresta che già supera il 30% nell’Amazzonia brasiliana meridionale e che si prevede possa arrivare al 56% entro il 2050, gli impatti sulla produttività agricola potrebbero essere catastrofici. Più del 75% dell’energia[7] prodotta in Brasile proviene da impianti idroelettrici e, pertanto, i cambiamenti nelle precipitazioni determinati dalla deforestazione e dal cambiamento climatico minacciano la sicurezza energetica del paese[8]. Di conseguenza, deforestazione e climate change pongono rischi reali anche per gli investimenti in emittenti corporate brasiliani e nel debito sovrano del paese[9].

L’UE[10] e il Regno Unito[11] hanno di recente regolamentato in modo severo l’importazione di prodotti derivanti da pratiche di deforestazione e anche gli Stati Uniti stanno vagliando proposte legislative in tal senso. Anche la Cina, che rappresenta un mercato molto importante per le esportazioni di prodotti agricoli brasiliani, ha espresso l’intenzione di inasprire i controlli sui prodotti importati connessi alla deforestazione[12], e aziende cinesi del calibro di China Mengniu Dairy[13] stanno introducendo politiche rigorose in materia. Queste norme rappresentano segnali importanti da parte del mercato; il Regolamento europeo sulla deforestazione stabilisce che gli operatori non conformi potranno subire sanzioni di importo pari al 4% del loro fatturato annuo totale ottenuto nell’UE[14]. La presenza di leggi più rigide aumenta il rischio di controversie, come testimonia l’azione legale condotta da alcune ONG contro BNP Paribas[15] per avere offerto servizi finanziari a società coinvolte nella deforestazione dell’Amazzonia. In tal senso, anche le società esposte a questo rischio potrebbero andare incontro ad aumenti del costo del capitale[16], con conseguenti impatti sulla propria solvibilità. Fermare la deforestazione è essenziale affinché gli investitori possano tenere fede ai propri obiettivi di neutralità climatica. Infatti, la deforestazione è responsabile dell’11% delle emissioni globali[17]; se non sarà interrotta entro il 2030, sarà impossibile limitare il riscaldamento globale entro 1,5°C[18]. Gli sforzi per fermare la deforestazione contribuirebbero quindi in maniera sostanziale alla lotta contro il cambiamento climatico, riducendo le emissioni e rafforzando la resilienza climatica.

L’importanza di un engagement attivo in loco

Come Columbia Threadneedle partecipiamo attivamente all’Investor Policy Dialogue on Deforestation (IPDD) tramite gruppi di lavoro, sia in Brasile che nei principali paesi importatori, basati su un approccio multistakeholder focalizzato sulla collaborazione. Sulla base di questo impegno, abbiamo sviluppato un programma di engagement sul tema della deforestazione che si basa su tre pilastri: collaborazione con le autorità politiche, engagement con commercianti di soia e aziende di lavorazione della carne, dialogo attivo con le imprese della filiera. È necessario, infatti, che vi sia un impegno sinergico tra le politiche governative e le iniziative aziendali contro la deforestazione, dando inoltre priorità alle richieste degli investitori. A tal fine, abbiamo incontrato diversi ministri ed enti governativi a Brasília, tra i quali il Ministro dell’ambiente, il Ministro della pianificazione, il Ministro delle popolazioni indigene, la Banca centrale, l’IBAMA e l’ICMBio, per comprendere le priorità e i progetti della nuova amministrazione Lula rispetto alla gestione della deforestazione. Tramite l’IPDD, abbiamo poi messo in luce l’esigenza di rendere maggiormente accessibile il registro governativo sull’ambiente rurale e sul transito di animali agli utenti del settore privato, affinché gli investitori siano in grado di identificare quelle società che promuovono la deforestazione illegale. In aggiunta, abbiamo sottolineato la necessità di migliorare il quadro normativo e il sistema catastale per incentivare i proprietari terrieri a preservare le foreste esistenti e a ripristinare il suolo degradato. Infine, abbiamo evidenziato i rischi posti dalla deforestazione ai nostri investimenti sovrani, auspicando che il Brasile emetta obbligazioni collegate alla sostenibilità simili a quelle dell’Uruguay.

Accanto al dialogo costante con le autorità brasiliane, abbiamo avviato alcuni programmi di engagement con numerosi commercianti e aziende che contribuiscono alla perdita di habitat del Brasile operando direttamente o tramite loro fornitori. Entro il 2025, queste aziende dovranno adottare modalità di produzione, approvvigionamento e finanziamento “deforestation-free” e “conversion-free”. Inoltre, questo impegno prevede il tracciamento dell’intera filiera delle materie prime acquistate dalle aziende, che ci aspettiamo articolino chiare strategie per adempiere ai propri obblighi. Guardando poi alla filiera del settore agroalimentare brasiliano, troviamo due industrie cruciali. La prima è l’industria del pellame, che gioca un ruolo chiave sui margini delle aziende di lavorazione della carne[19] e che, a differenza del settore della carne bovina, è in gran parte rivolta all’esportazione[20]. La metà dei pellami dal Brasile finisce infatti nel settore automobilistico in Europa, dove la produzione di pellame rientra nell’ambito di applicazione del nuovo Regolamento dell’UE sulla deforestazione. Il secondo settore è rappresentato dagli istituti finanziari europei; pur non essendo al momento coperti dal nuovo Regolamento UE in materia di deforestazione, c’è la possibilità che lo siano presto in futuro. Approfittando della nomina del presidente Lula, gli investitori dovrebbero sviluppare un programma coordinato di engagement che coinvolga al tempo stesso l’industria agroalimentare, i responsabili delle politiche fiscali, i clienti e i finanziatori.