Il punto sui mercati nei giorni delle banche centrali

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Il 14 settembre, in un contesto di peggioramento delle condizioni economiche nell’Eurozona, la riunione della Banca Centrale Europea si è conclusa con la decisione, a voto non unanime, di aumentare i tassi di un altro quarto di punto. I tassi sono ora al massimo storico da quando è stata introdotta la moneta unica.

Lo spettro che si aggira per l’Europa ha più a che fare con Shakespeare che con Marx: il comunismo minacciato nell’incipit del Manifesto non fa paura da anni, è piuttosto l’inflazione a spaventare e i banchieri di Francoforte sono i più spaventati, come Macbeth perseguitato dal fantasma di Banco.

L’inflazione non rientrerà verso l’obiettivo del 2% nel 2024, come la BCE stimava pochi mesi fa, ma solo a metà del 2025. Il valore medio dell’inflazione sarà 5,6% quest’anno e 3,2% nel 2024, livelli ritenuti “troppo alti, per troppo tempo”.

La crescita dei prezzi non rallenta abbastanza e a Francoforte reagiscono in modo pavloviano, a dispetto delle condizioni dell’economia. L’ultima rilevazione dell’indice PMI conferma la debolezza dell’Eurozona: l’indice composito, che tiene assieme la manifattura con i servizi, è sceso da 48,6 di luglio a 46,7 ad agosto. Un declino pesante, quasi due punti in un indice in cui si commentano gli scostamenti decimali e, se si esclude la straordinarietà del picco al ribasso durante la pandemia, l’indice è tornato ai valori minimi del 2013.

Ancor più rilevante è la discesa sotto la soglia di 50 del settore dei servizi che ha messo la parola fine a un filotto di sette mesi positivi. Viene a mancare la compensazione che i servizi hanno dato al settore della manifattura, in contrazione da mesi. Le prospettive di crescita a breve termine dell’Europa sono peggiorate, il costo del denaro morde l’attività economica, la fiducia delle imprese e dei consumatori è debole e l’Europa si trova esposta alla bassa domanda estera, alla Cina in particolare.

La reazione immediata dei mercati all’aumento dei tassi è stata positiva, le condizioni dell’economia hanno portato a valutare il pericolo di nuovi aumenti e giovedì scorso sono calati il decennale tedesco e il titolo italiano di pari scadenza, il differenziale tra Bund e BTP (lo “spread”) si attestava intorno a 173 punti base, da 178 punti prima della decisione della BCE.

Il giorno dopo c’è stato però un ripensamento e i rendimenti sono tornati a salire. Gli operatori hanno valutato la forte dipendenza dell’Europa dall’approvvigionamento energetico. L’aumento del prezzo del petrolio e i possibili shock sul lato della fornitura, ad esempio lo sciopero negli impianti LNG in Australia, espongono la vulnerabilità della regione, rappresentano veri e propri ostacoli alla discesa dell’inflazione e, soprattutto, alla discesa delle aspettative dell’inflazione nel medio periodo. Alcuni analisti hanno alzato l’obiettivo del rendimento del Treasury a dieci anni a 4,5% e oltre, il Treasury è un benchmark universale, un potente magnete che ha orientato anche il rendimento delle obbligazioni europee.

Durante la conferenza stampa Christine Lagarde non ha dato, neppure questa volta, nessuna indicazione positiva, nessun indizio sulle scelte future, ha ribadito il mantra della dipendenza dai dati e sono proprio i dati economici grami a far pensare alla fine del ciclo di rialzo. Più che di nuovi aumenti, si parla di quanto a lungo verrà mantenuto l’attuale livello dei tassi. Per quanto riguarda la Fed, il consenso prevalente è che nella riunione di questa settimana non verranno decisi nuovi rialzi e che la pausa serva per valutare le conseguenze dei rialzi sull’economia, la Fed si sta posizionando nella modalità “higher for longer”.

Siamo arrivati all’”higher”, i tassi più alti, ora ci acconciamo al “longer”, l’attuale livello dei tassi americani ci accompagnerà ben addentro il 2024, l’appuntamento con i tagli della BCE è probabilmente nel 2025.

Il rally azionario avviato nello scorso ottobre ha fatto salire i prezzi e schiacciato il premio al rischio ma sono saliti anche l’inquietudine e l’interesse verso le obbligazioni. Il ritorno del rendimento sui bond e sulla liquidità è stato salutato con entusiasmo dai risparmiatori, le banche centrali possono proseguire nei loro piani di riassorbimento del bilancio, i rendimenti attraenti non fanno mancare la domanda e i sottoscrittori.

I rischi che possono verificarsi nel prossimo futuro sono principalmente tre:

1. Il primo è che l’inflazione sorprenda o al rialzo oppure interrompendo il sentiero di discesa;

2. Un altro rischio è che i banchieri centrali spingano troppo il freno e il rallentamento si trasformi in recessione; sono importanti anche i segnali che vengono dalla Cina. In questi giorni sono usciti dati rinfrancanti, in agosto le vendite al dettaglio e la produzione industriale sono cresciute oltre le previsioni; la Banca del Popolo ha tagliato di un quarto di punto il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche, una azione che ha iniettato di fatto liquidità nel sistema e ha mandato al mercato il segnale della volontà del governo di fare il possibile per evitare il rallentamento e far ripartire l’economia;

3. Il terzo rischio è quello geopolitico, l’evoluzione della guerra, le relazioni diplomatiche e commerciali della Cina con gli Stati Uniti e il resto del mondo, il movimento negli equilibri di potere, e di alleanze, nel Medio Oriente.