Tra aree idonee/non idonee e consumo di suolo, le rinnovabili in Italia non decollano

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Per arrivare all’obiettivo di 80 GW di rinnovabili fissato al 2030, il nostro Paese dovrebbe realizzarne circa altri 40, dato che 39,5GW sono già installati. Questo significa che è necessario generare più di 5GW di capacità rinnovabile all’anno per i prossimi 7 anni. Nel 2022 la capacità installata è stata pari a 3 GW, il doppio rispetto al 2021, e nella prima metà del 2023 è quasi 2,5 GW, confermando il trend in rilevante crescita. Questo miglioramento è dovuto all’aumento degli investimenti e alle spinte degli ultimi due governi che hanno tentato di semplificare gli iter autorizzativi. Eppure sembra che, invece di dare fiducia, l’aumento delle FER in Italia desti preoccupazione per l’occupazione di suolo tanto che la politica smania per produrre mappature che distinguano le aree idonee e non idonee a ospitare nuovi impianti

Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, infatti, sta lavorando a un Decreto Aree Idonee in collaborazione con le Regioni, la cui bozza circolata il mese scorso è stata ampiamente contestata del settore perché minacciava la realizzazione di nuovi impianti per via dell’introduzione di restrizioni sull’estensione di terreno effettivamente utilizzabile per un impianto su area idonea.

Ora, mentre riponiamo fiducia che il governo e le Regioni stiano modificando la normativa in vista della pubblicazione, è utile chiarire meglio l’entità del problema e le possibili soluzioni.

Con questo decreto il governo sta facendo a livello nazionale quello che negli anni scorsi diverse Regioni hanno tentato di fare con regolamenti o leggi regionali. Senza successo perché non avevano il potere di introdurre limitazioni alla realizzazione di nuovi impianti andando in contrasto con la legge nazionale che prevede uno specifico iter di valutazione e autorizzazione dei progetti. Le Regioni hanno diritto ad avere controllo sulla diffusione degli impianti nel loro territorio; il problema nasce quando la decisione su dove si può o non si può costruire è arbitraria o basata sul falso concetto che le rinnovabili consumano suolo fertile. Se ciascuna Regione stabilisse un’obbligatorietà per tutti i Comuni di dedicare il 3% del loro territorio all’istallazione di rinnovabili, si risolverebbero molti problemi autorizzativi all’origine. Ogni Comune indicherebbe le aree non idonee per questioni di vincoli archeologici, paesaggistici, faunistici ecc, e su tutte le altre aree si applicherebbe l’iter semplificato di autorizzazione che deve comunque passare il vaglio degli enti competenti.

Quello del consumo di suolo delle FER, infatti, è un falso problema. Ipotizzando di realizzare 5GW all’anno di solo fotovoltaico, servirebbe una superficie di 10.000 ettari da dedicare agli impianti. L’attuale superficie agricola totale in Italia è 16,5 milioni di ettari. Ciò significa che per installare 5GW annui di fotovoltaico basterebbe impiegare lo 0,06% della superficie agricola totale. In 10 anni si tratterebbe dello 0,6% del territorio agricolo nazionale. Per farlo è sufficiente andare a coinvolgere solamente i terreni attualmente incolti e inattivi che in Italia sono 3,5 milioni di ettari. Dove possibile, invece, l’agrivoltaico permette di coniugare la produzione agricola – solo per certi tipi di colture – con la produzione di energia, azzerando il consumo di suolo.

Ecco perché introdurre restrizioni sulla percentuale massima di estensione areale dell’impianto (ad esempio 10% o 20%) su un terreno agricolo non coltivato – come rischiava di fare la bozza del Decreto Aree idonee circolata – è privo di senso: una volta individuati terreni agricoli inattivi e su cui non pendono vincoli, l’impianto che ha ricevuto approvazione deve poter essere realizzato senza ulteriori limitazioni.

Il Presidente dell’associazione GIS, Gruppo Impianti Solari, Raffaello Giacchetti, commenta: “Di imprese italiane competenti che progettano impianti virtuosi in aree agricole inutilizzate e prive di pregio ce ne sono, tra cui tutte le associate GIS. La loro competenza e correttezza, unite a quelle delle istituzioni preposte a dare l’autorizzazione nel rispetto della legge e sulla base di criteri tecnici oggettivi, rendono superflue normative e mappature che complicano il quadro autorizzativo senza portare beneficio a un settore cruciale per lo sviluppo del nostro Paese. Se proprio i legislatori desiderano introdurre nuove regole, che almeno non risultino controproducenti.”