Tassi, puntare sui mercati emergenti in valuta locale: Kazakhistan spicca, America Latina negli emergenti

Ulla Huotari, portfolio manager Emerging & Frontier Markets, Aktia, asset manager rappresentato in Italia da Amchor IS -

Con la fine del ciclo di rialzo dei tassi di interesse nei mercati sviluppati questo potrebbe essere il momento di riposizionarsi su una asset class, quella dell’obbligazionario emergente e di frontiera, che ha sofferto negli ultimi due anni una generale avversione al rischio e la risalita dei rendimenti sul reddito fisso dei paesi sviluppati. Tuttavia, nell’ambito dei mercati obbligazionari emergenti e di frontiera, si sono dimostrati resilienti soprattutto i bond in valuta locale.

Il risk sentiment ha infatti iniziato a migliorare sulla scia di prospettive più favorevoli per l’inflazione statunitense, creando spazi per i mercati emergenti sia in valuta forte sia locale dopo i forti deflussi degli ultimi anni. Rispetto a certi mercati di frontiera dove c’è carenza di dollari – come in Nigeria, Ghana, Kenya ed Egitto – quelli emergenti sono meglio posizionati perché sono paesi dove le banche centrali hanno iniziato il ciclo restrittivo in anticipo e, di conseguenza, stanno adesso allentando la politica monetaria, in anticipo rispetto all’Occidente. Per esempio, quest’anno diverse banche centrali dell’America Latina hanno iniziato a ridurre il costo del denaro e l’inflazione in questi paesi sta scendendo, quindi i tassi reali sono elevati.

In particolare, le condizioni per i mercati di frontiera, che sono considerati investimenti di lungo periodo, miglioreranno se i tassi di interesse Usa inizieranno a scendere e il dollaro si indebolirà: negli ultimi anni questi paesi, infatti, hanno fatto fatica a finanziarsi sui mercati dei capitali internazionali.

Ma già oggi è possibile prendere esposizione su questi mercati di frontiera in valuta locale con un portafoglio per il 65% investment grade diversificando il rischio paese con emissioni di istituzioni finanziarie per la cooperazione allo sviluppo (development finance institutions bonds) tripla A e allocando una quota preponderante a derivati su valute non-deliverable regolati in dollari che sono più liquidi.

Ad essere cruciale è la selezione dei paesi che si mettono in portafoglio – è un universo di 146 stati quello a cui guardiamo – con un’attenzione particolare alla capacità di un paese di ripagare il proprio debito nel lungo periodo concentrandosi su fattori economici, sociali e di governance: premiante, in questo senso, si rivela puntare su quelli che hanno migliori chance di essere oggetto di una revisione al rialzo del merito di credito: è stato il caso quest’anno di Serbia, Repubblica Domenicana, Costa Rica e Uruguay.

Nel processo di selezione è possibile integrare i fattori ESG, purché si tenga conto delle specificità di questi mercati, cioè concentrandosi più sugli indicatori relativi alla governance (in queste aree i dati sociali e di governance sono più abbondanti di quelli ambientali) e focalizzandosi più sui trend che sui dati (questi paesi, quando si tratta di sostenibilità, si muovono da punti di partenza molto diversi).

Kazakhistan spicca fra i mercati di frontiera, l’America Latina negli emergenti

Sui mercati di frontiera oggi vediamo valore in Kazakhistan, dove il debito è basso intorno al 25% del Pil, e ci sono abbondanti riserve in valuta. Lo stesso vale per l’Uzbekistan, che è stata anche una storia di riforme dopo la morte dell’ultimo presidente. Per bilanciare i rischi, investiamo anche in Uruguay anche se è un Paese emergente più tradizionale. Fra i mercati obbligazionari emergenti tradizionali in valuta locale ci piacciono Brasile e Messico perché i tassi reali sono più elevati, le banche centrali stanno tagliando i tassi e l’inflazione sta scendendo. Non investiamo, invece, sull’Argentina.

Alla larga dalla Cina

Non vediamo valore in Cina già dall’anno scorso a causa di livelli di rendimento molto bassi e della crisi del settore immobiliare, che rappresenta un significativo freno tra altri fattori strutturali. Riteniamo che il programma economico di Xi Jinping sia diventato più politico e questo non ci piace: l’economia sembra che adesso sia guidata dalla politica. Anche se di recente la crescita del Pil si è stabilizzata, pensiamo che ci siano delle sfide di lungo periodo per ragioni politiche e demografiche. Naturalmente c’è anche il rischio geopolitico. Si possono trovare rendimenti più interessanti in altri mercati emergenti.

Nel 2024 più che ai rischi geopolitici si guarda alle elezioni

Chi investe in mercati emergenti e di frontiera è abituato a fare i conti con i rischi geopolitici che oggi riempiono le prime pagine dei giornali: storicamente, alcuni paesi di frontiera sono spesso stati teatro di conflitti e guerre. Tendiamo a non investire in questi mercati dove la stabilità generale è a rischio.

I rischi geopolitici sono legati alla capacità di attirare investimenti dall’estero. Nel caso del Medio Oriente pare che i mercati finanziari abbiano già scontato il conflitto. Non abbiamo investimenti diretti in Medio Oriente nell’ambito delle nostre strategie in valuta locale.

Più che alla geopolitica l’anno prossimo guarderemo ai risultati delle elezioni: nel 2024, infatti, circa il 40% della popolazione mondiale andrà alle urne. Le elezioni si terranno non solo nei mercati sviluppati, dove c’è attesa per le presidenziali USA, ma anche in numerosi paesi emergenti e di frontiera. Dopo l’Argentina ci sarà Egitto, Bangladesh, Pakistan e India.

Ci aspettiamo che la geopolitica resti un tema nel medio periodo e che il mondo rimanga polarizzato in blocchi distinti, considerando la rivalità fra Cina e Stati Uniti.