Usa, il polso della situazione: servono interventi o un po’ di riposo?

Sean Shepley, Senior Economist -

Gli Stati Uniti sono sempre al centro di qualsiasi riflessione sulle prospettive economiche e di investimento. Di fatto, quello statunitense è il mercato finanziario più ampio e più sviluppato al mondo, la banca centrale USA, la Federal Reserve (Fed) è quella che esercita l’influenza maggiore tra tutte le autorità monetarie e gli effetti delle decisioni prese negli Stati Uniti sugli altri Paesi sono di norma più consistenti che viceversa. Inoltre, gli USA sono molto esposti all’innovazione tecnologica e a una nutrita serie di dati economici per lo più di qualità molto elevata, che offrono molteplici spunti per individuare gli indicatori anticipatori dei trend globali.

Tuttavia, è importante anche tastare il polso delle altre aree geografiche, pertanto questa settimana faremo un discorso generale sulle economie sviluppate.

Esaminando l’attività economica al di fuori degli Stati Uniti, è evidente che gran parte dei G10 sono in fase di decelerazione. In particolare, secondo le stime il prodotto interno lordo (PIL) dell’area euro per il terzo trimestre dovrebbe essere arretrato dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, una flessione che arriva dopo una serie di sottoperformance degli indicatori anticipatori del ciclo economico e dei sondaggi fra le imprese.

Utilizzando il tasso di disoccupazione come parametro per sintetizzare le variazioni delle condizioni economiche in ciascun Paese, si osserva che il mercato del lavoro inizia a raffreddarsi: il tasso di disoccupazione è salito ovunque oltre il minimo ciclico. Il dato che colpisce di più è forse che in sei Paesi (USA, Regno Unito, Germania, Svezia, Canada e Nuova Zelanda) la disoccupazione è cresciuta di almeno lo 0,5% rispetto a detto minimo ciclico (cfr. grafico della settimana).

Anche se sono state spese – giustamente – molte parole a proposito dell’eccezionale resilienza dell’economia USA a fronte della stretta monetaria, un aumento così diffuso dei tassi di disoccupazione indica che l’inasprimento continua a frenare l’economia.

Come valutare questi sviluppi nelle varie economie sviluppate?

È chiaro che la politica monetaria restrittiva sortisce i suoi effetti a velocità diverse da un Paese all’altro. Nello specifico, i Paesi in cui i tassi di interesse ipotecari variano in concomitanza con le variazioni dei tassi di riferimento delle banche centrali hanno registrato una netta correzione della spesa al consumo e dei prezzi delle abitazioni poiché le famiglie adeguano gli acquisti a un reddito disponibile inferiore.

È chiaro anche che col tempo alcuni effetti negativi della pandemia sull’offerta di lavoro si sono attenuati. In alcuni casi per via della ripresa dei tassi di partecipazione, in altri anche per via dell’immigrazione. La prima ipotesi vale ad esempio per Stati Uniti e Regno Unito, mentre in Germania e nei Paesi limitrofi si è assistito anche a un incremento dell’immigrazione per effetto della guerra in Ucraina.

Potremmo anche azzardare un’altra ipotesi: le tecnologie che accelerano la produttività e che rientrano nell’ambito dell’intelligenza artificiale consentono alle società di ridurre la domanda per determinati tipi di mansioni. Tali tecnologie offrono la possibilità di un incremento dell’offerta che aumenterebbe la redditività delle imprese, contribuendo probabilmente a ridurre l’inflazione e sostenendo al contempo la domanda in generale. Ancora non sappiamo quanto sarà potente questo fenomeno e a che velocità si propagherà.

Dalle nostre rilevazioni risulta che le dinamiche cicliche al di fuori di Stati Uniti e Cina sono abbastanza fiacche: l’impatto dell’inasprimento monetario continua a farsi sentire nelle economie sviluppate, tanto che l’inflazione potrebbe avvicinarsi al target nel 2024. Il peso relativo degli effetti di riduzione della domanda rispetto al peso degli effetti di incremento dell’offerta sarà decisivo per stabilire la capacità e la velocità della politica monetaria nel prevedere i vantaggi di un’inflazione più modesta il prossimo anno.

La settimana prossima

I dati USA in uscita la prossima settimana rappresenteranno la più importante cartina di tornasole per i mercati statunitensi dopo la riunione della Federal Reserve di novembre. Si attende una moderazione dell’inflazione complessiva per effetto del calo dei prezzi della benzina, tuttavia le previsioni sull’inflazione core sembrano più eterogenee e potrebbero avere un forte impatto sulle aspettative del mercato circa la possibile conclusione del ciclo di inasprimento della Fed. Sempre negli Stati Uniti, si prevede una flessione delle vendite al dettaglio dopo un lungo periodo di inattesi incrementi della spesa al consumo e sarà inoltre reso noto il sentiment delle imprese per il mese di novembre.

Nell’area euro è prevista la revisione delle stime sul PIL del terzo trimestre sulla base dei dati aggiornati, anche per quanto riguarda la produzione industriale, sulla quale le aziende, stando ai sondaggi, hanno scarse aspettative. Le stime sull’occupazione nel terzo trimestre ci diranno se e in che misura il lieve aumento del tasso di disoccupazione nell’area euro si deve alla minore domanda di lavoro o all’aumento dell’offerta.

In Giappone, il PIL del terzo trimestre dovrebbe registrare una battuta d’arresto dopo l’eccezionale solidità del secondo trimestre, mentre la crescita di importazioni ed esportazioni dovrebbe restare in territorio negativo.

Quanto al Regno Unito, l’inflazione sembra finalmente aver cambiato direzione e il mercato del lavoro inizia a distendersi sotto gli effetti del ciclo di inasprimento della Bank of England – si registra infatti un modesto aumento della disoccupazione.

In conclusione, i dati sull’inflazione USA saranno molto importanti per stabilire se, dopo aver tastato il polso della situazione, occorrono degli interventi o serve solo un po’ di riposo.