Che fine ha fatto la recessione

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Finora, i mercati sviluppati hanno evitato una recessione, ma il rischio che si manifesti non è ancora escluso. Il contesto macroeconomico attuale è decisamente peculiare. Raramente, se non mai, si è venuta a creare una combinazione così singolare di pandemia globale, tecnologie rivoluzionarie, aumento del rischio geopolitico e cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro. Questo insieme unico di circostanze potrebbe aiutare a spiegare il motivo per cui il ciclo economico si è discostato dai pattern tradizionali.

Forse gli USA hanno evitato una recessione sincronizzata ma hanno registrato piccole crisi l’una dopo l’altra. È possibile che non si sia manifestata una tradizionale recessione economica ampia e sincronizzata, quanto piuttosto una serie di recessioni consecutive a livello settoriale. Fondamentale per raggiungere questo risultato positivo è stato il mercato del lavoro, che è rimasto resiliente e sta contribuendo alla crescita della spesa al consumo. Vale la pena ricordare che la spesa al consumo è un fattore chiave nella crescita economica statunitense, e rappresenta circa il 70% del PIL. Finché le persone hanno un lavoro e spendono, l’economia USA non avrà alcun problema. In questo ciclo il tasso di disoccupazione rimane estremamente basso. Le aziende hanno ancora difficoltà a trovare candidati qualificati e si tengono stretti i loro dipendenti oppure ne cercano di nuovi. Nonostante la resilienza del mercato del lavoro e dell’economia nell’ultimo anno, non ci riteniamo ancora del tutto al sicuro. La possibilità di una recessione è ancora piuttosto concreta.

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Come reagiranno le banche centrali? Gli sviluppi dell’inflazione rimangono fondamentali

Le dinamiche dell’inflazione saranno probabilmente il fattore chiave che detterà la reazione delle banche centrali nel prossimo futuro. Nell’ultimo anno l’inflazione ha evidenziato un rallentamento, ed è plausibile che il prossimo anno tornerà ad avvicinarsi al 3%. L’inflazione primaria è in calo già da qualche tempo e l’inflazione inerziale inizia a muoversi sulla stessa traiettoria. Anche se l’inflazione è in discesa, così come la componente dei servizi core, c’è il rischio che il ritmo della disinflazione che abbiamo visto nel 2023 possa calare.

Il ritorno dell’inflazione al 2%

Nonostante i segnali incoraggianti nell’inflazione inerziale, la stessa rimane vischiosa e superiore al tasso target delle banche centrali. Il motivo potrebbero essere fattori strutturali come l’aumento del rischio geopolitico, il rallentamento della globalizzazione e una forza lavoro potenzialmente reclutata sul mercato domestico a un costo superiore rispetto ai decenni scorsi, quando i lavoratori erano delocalizzati in luoghi in cui la manodopera era più economica. Tutto questo potrebbe rendere più complicato ridurre stabilmente l’inflazione al 2%.

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La crescita dei salari nominali è ancora solida nei mercati sviluppati e rimane ben superiore ai trend pre-COVID. Nonostante questo, a causa della forte crescita dei salari e dell’importanza della credibilità delle banche centrali nel definire le aspettative sull’inflazione, i tassi potrebbero rimanere elevati più a lungo. L’elemento più importante sotto il profilo della politica monetaria è che il rallentamento dell’inflazione significa che le banche centrali potrebbero essere vicine, o aver già raggiunto, il picco dei tassi. Oggi dobbiamo chiederci non tanto di quanto la Fed alzerà ancora i tassi, ma per quanto a lungo li manterrà ai livelli attuali.

Quali sono le conseguenze per i mercati obbligazionari

Nel complesso, il contesto rimane favorevole per il reddito fisso; sia lo scenario del soft landing che quello della recessione sarebbero in generale positivi per l’asset class.

Soft landing. Se le banche centrali centreranno il soft landing, significa che la politica era stata fissata al livello corretto. I tassi potrebbero quindi rimanere elevati e gli investitori obbligazionari continueranno a beneficiare di un buon livello di carry. Questo dovrebbe aiutare a compensare i periodi di volatilità e supportare i rendimenti totali.

Recessione. Le condizioni finanziarie più rigide, l’impatto dei tassi più alti più a lungo, i segnali eterogenei sul fronte dei consumi e le continue incertezze sulla situazione delle banche regionali USA e dell’immobiliare commerciale fanno sì che la recessione rimanga un rischio concreto. Tuttavia, in uno scenario di recessione, gli obbligazionisti continuerebbero a beneficiare di un carry iniziale elevato e della potenziale decisione delle banche centrali di tagliare i tassi di interesse al fine di stimolare la crescita economica. Una decisione del genere favorirebbe le obbligazioni, in particolare la componente di qualità elevata del mercato.

Alcune considerazioni importanti

Il credito investment grade (IG) è ben posizionato per offrire rendimenti positivi su un anno considerando gli scenari macroeconomici più probabili. In uno scenario di recessione moderata, i risultati sono positivi. Anche in una situazione di recessione severa, i risultati potrebbero rimanere positivi in caso di riduzione dei tassi. E questo rispecchia due importanti caratteristiche dell’asset class: innanzitutto gli effetti positivi sulla duration del calo dei tassi d’interesse e, in seconda battuta, i rendimenti iniziali più elevati al momento offerti dal credito IG che forniscono un cuscinetto in periodi di volatilità dei prezzi.

Anche la prosecuzione dell’attuale contesto in cui le banche centrali mantengono i tassi elevati più a lungo porta in linea generale a risultati positivi, ancora una volta grazie al carry elevato, in grado di assorbire la volatilità di spread e tassi. In uno scenario Goldilocks, l’asset class beneficia del carry elevato e dell’effetto positivo del calo dei tassi sulla duration. I rendimenti iniziali elevati aiutano a ridurre le perdite anche negli scenari più ribassisti.