COP28, la COP dei petrolieri indica l’uscita dalle fossili, Net Zero al 2050

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La COP28 di Dubai introduce per la prima volta nella storia delle Conferenze sul clima sotto l’UNFCCC una chiara ed esplicita citazione della necessità di uscire dalle fonti fossili (tutte) a livello globale. Iniziando a lavorare sull’uscita, accelerando gli sforzi “transitioning away” entro il 2030 (quindi nei prossimi cinque anni), con l’obiettivo di arrivare a emissioni nette zero a livello globale entro il 2050, in linea con la scienza. Il compromesso è arrivato su una formulazione nuova, fuori dal recinto mentale phase-out versus phase-down, come del resto ci aspettavamo.

Questo il commento di Serena Giacomin, Presidente Italian Climate Network: “Restano due velocità, un
distacco ancora molto evidente tra scienza e politica. Certo, occorrerebbe camminare svelti senza indugio
applicando le ampie conoscenze che la scienza ci offre con evidenze esplicite ormai da decenni. Ma, se dal
punto di vista scientifico restano insoddisfazione e preoccupazione, dal punto di vista politico la COP28
compie un passo importantissimo: la menzione esplicita approvata da quasi 200 Paesi del mondo alle fonti
fossili e alla necessità impellente di un abbandono del loro utilizzo da parte di tutti. Si sancisce, così, un
impegno approvato su carta alla transizione dai grandi Paesi emettitori, oltre che da quelli vulnerabili e in
via di sviluppo più determinati ad agire. Come Italian Climate Network, come movimento della società civile, raccoglieremo questa opportunità per portare avanti con ancora più determinazione e risolutezza l’azione per il clima affinché le due velocità diventino il prima possibile una sola.”

Segue una nostra analisi dettagliata sul linguaggio di queste decisioni e sull’importanza delle parole usate, più o meno impositive, più o meno volutamente dettagliate. Non possiamo, tuttavia, non sottolineare con forza che un linguaggio di questo tipo sulle fonti fossili era semplicemente impensabile due anni fa a Glasgow, quando il mondo concentrò la propria attenzione sull’uscita rapida (phase-out) dal solo carbone, terminologia che poi non entrò nel testo finale. Qui, invece, si parla di tutte le fonti fossili, non solo del carbone. L’asticella si alza moltissimo. Complice la pressione della società civile, complici i disastri ormai sempre più frequenti ed evidenti alla politica.

Eppure, il contesto globale non dovrebbe essere favorevole: guerre che coinvolgono membri del Consiglio di Sicurezza ONU, spaccature politiche forti sulla questione mediorientale, la prossima COP del 2024 in un Paese, l’Azerbaigian, che ha appena concluso una guerra con il proprio vicino. Eppure, la decisione sulle fossili arriva, da dove meno potevamo aspettarcela: dalla COP di Dubai, dalla
“COP dei petrolieri”.

Un segnale fortissimo, che rilancia il processo. Il Presidente della COP28, Al Jaber, nella plenaria di
chiusura ha dichiarato: “abbiamo aiutato nel riportare fede e fiducia nel multilateralismo”. Oltre la retorica, è oggettivamente vero: questo accordo di Dubai riesce, con un linguaggio non nettamente
impositivo – e tramite molti compromessi (ad esempio, sul picco emissivo globale al 2025) – a tenere
comunque nel gioco i Paesi OPEC, l’Arabia Saudita, la Russia, l’Iran, che come tutti gli altri non hanno
obiettato (quindi approvato) l’idea di prepararsi per uscire dalle fossili già da questi prossimi cinque anni.
Ripetiamo, politicamente impensabile fino a due anni fa.

Pur notando con apprezzamento – come del resto anche CAN International, l’alleanza AOSIS degli Stati
insulari, molti attori della società civile – lo storico passo avanti sul linguaggio sulle fossili e progressi su altri temi come la finanza per perdite e danni, dobbiamo in ogni caso evidenziare il forse inevitabile prezzo che ha portato a questo compromesso finale. Rimandati al 2024 tutti i negoziati sui nuovi mercati del carbonio sotto l’Articolo 6, eliminati riferimenti al picco emissivo al 2025, quasi nessuna decisione significativa sulla finanza per il clima salvo che su perdite e danni. E ancora: prosecuzione dell’uso di un linguaggio molto, troppo blando sull’uscita dai sussidi alle fonti fossili, adozione di un testo debole sul Programma di lavoro sulla mitigazione, riferimenti insufficienti alla protezione e tutela dei diritti umani in particolare quando si parla di mercati dei crediti e perdite e danni e, in termini di prime volte, inserimento del primo riferimento di sempre al nucleare come energia di transizione in una decisione COP. Inoltre, su altre decisioni considerate minori, incertezza diffusa in merito al finanziamento delle attività del Segretariato per il 2024, per esempio sull’importante nuovo programma sulla Giusta transizione. COP29 del prossimo anno in Azerbaigian sarà la COP delle decisioni epocali sulla finanza per il periodo post- 2025, del primo ciclo di revisione degli impegni sulle emissioni secondo il nuovo sistema di trasparenza, dell’Articolo 6 oggi rimandato in blocco. Intanto, però, i Paesi dovranno lavorare alacremente
all’aggiornamento dei loro NDC, cioè dei piani nazionali su emissioni, adattamento e finanza, da presentare obbligatoriamente all’ONU entro marzo 2025. Questo è il punto-chiave dell’Accordo di Parigi, questo il tema sul quale dovremo fare pressione come società civile internazionale. Sapendo però che da oggi i Paesi sono un po’ più obbligati a presentare piani che li vedano “transitioning away” velocemente dalle fonti fossili, e no, forse non ci speravamo.

Come sempre quando si tratta di mettere d’accordo quasi 200 delegazioni del mondo, ognuna con i propri
interessi nazionali e priorità, non esistono bianco e nero, successo e fallimento. Questa COP rilancia il
processo multilaterale e contribuisce a non far morire la fiducia nel sistema, che inaspettatamente anche
stavolta va avanti, sacrificando però alcuni temi sull’altare della terminologia sui fossili.
Troppo lentamente rispetto alle richieste della scienza e alla rapidità del problema, ma nell’unico modo ad
oggi possibile per trattare un tema globale.