Italiani e welfare nel Rapporto del Censis

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Il Censis ha presentato il 57 Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2023. Una direzione, pochi traguardi, viene sottolineato. Nelle tensioni e negli affanni di questi ultimi anni, la società italiana inizia a intravedere, con progressiva chiarezza, i contorni della difficile congiuntura e i
possibili punti di arrivo dei cambiamenti in corso, ma elude attentamente stimoli e investimenti utili a tradurre l’intenzione in traiettorie concrete.

La pandemia, la crisi energetica e ambientale, le guerre ai bordi dell’Europa, l’inflazione, i flussi migratori, l’affermarsi di modelli di sviluppo diversi da quello occidentale, l’aggravarsi dei rischi demografici e dei nuovi bisogni di tutela sociale hanno però messo definitivamente a nudo i bisogni di medio periodo del nostro Paese.

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Quali sono i profili specifici in materia di welfare? Partendo dalla sanità, tra il 2012 e il 2019 la
spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil è passata dal 6,7% al 6,4%, nel 2020 del Covid è salita
al 7,4% e poi è scesa di nuovo al 6,7% nel 2022. Dal confronto internazionale emerge che nel periodo 2012-2019 in Italia la spesa sanitaria pubblica ha registrato un -0,4%, in Francia un +15,0%, in Germania un +16,4% e in Spagna un +7,7%.

Negli anni 2019-2021, per effetto della pandemia, in Italia si è registrato un +6,7%, in Francia un
+8,8%, in Germania un +16,6% e in Spagna un +13,5%. Secondo la Nadef, nei prossimi anni la spesa sanitaria pubblica italiana in rapporto al Pil diminuirà fino al 6,1% nel 2026. Insomma, risorse pubbliche per il Servizio sanitario nazionale declinanti nel tempo e strutturalmente inferiori a quelle di Paesi simili al nostro.

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Un altro fronte critico è lo shortage del personale sanitario. Il tasso di turnover (il rapporto tra
assunti e cessati in un anno) è pari a 90 per i medici e a 95 per gli infermieri. Data la elevata età
media, si stima che tra il 2022 e il 2027 andranno in pensione 29.000 medici dipendenti del
Servizio sanitario nazionale e 21.000 infermieri. Sono numeri che confermano una fragilità che
potrebbe determinare in futuro costi sociali elevati.

Nell’anno trascorso il rapporto degli italiani con la sanità è stato segnato dalla presa d’atto della
fine delle promesse. Per il 75,8% è diventato più difficile accedere alle prestazioni sanitarie nella
propria regione a causa di liste di attesa sempre più lunghe. Il 71,0% dichiara che in caso di visite
specialistiche necessarie o accertamenti sanitari urgenti è pronto a rivolgersi a strutture private
pagando di tasca propria (al Sud la percentuale sale al 77,3%). A causa delle promesse mancate,
il 79,1% degli italiani si dichiara molto preoccupato per il funzionamento del Servizio sanitario nel
prossimo futuro, esprimendo il timore di non accedere a cure tempestive e appropriate in caso di
malattia. L’esperienza delle difficoltà di accesso alla sanità radica nella coscienza collettiva l’idea
che l’universalismo formale in realtà nasconda disparità reali, che ampliano le disuguaglianze
sociali. L’89,7% si dice convinto che le persone benestanti hanno la possibilità di curarsi prima e
meglio di quelle meno abbienti.

Tra i lavoratori persiste una certa confusione sul significato del welfare aziendale. Solo il 19,8%
dichiara di sapere bene cosa sia, il 45,1% lo conosce a grandi linee e il 35,1% non ne sa nulla.
Sono i numeri del gap esistente tra lo spazio effettivamente conquistato dagli strumenti del welfare
aziendale nelle scelte normative e nella contrattazione aziendale e il suo riconoscimento diretto e
compiuto da parte dei lavoratori. Per le imprese il welfare aziendale è diventato una delle leve con
cui attirare e trattenere lavoratori, e per stimolarne l’engagement offrendo dispositivi che, oltre a
integrare il reddito, alleviano difficoltà della vita quotidiana dei lavoratori, a cominciare da una
migliore conciliazione tra i tempi della vita privata e quelli del lavoro. Oggi l’81,3% dei lavoratori
valuta positivamente lo smart working proprio perché consente una migliore conciliazione tra
famiglia e lavoro.

Le pensioni non esauriscono poi l’economia della longevità. Il 65,3% degli anziani ritiene che la
pensione percepita da sola non sia in grado di garantire il benessere nella terza e quarta età.
L’84,6% dei longevi ritiene che per garantirsi una vecchiaia serena sia fondamentale investire i
propri risparmi. Oggi il 41,0% degli anziani risparmia regolarmente e il 28,0% di tanto in tanto. Del
resto, gli anziani spesso continuano a garantire un supporto economico a favore dei familiari più
giovani, figli e nipoti. Nell’ultimo anno lo ha fatto il 42,0% degli anziani. Spesso le risorse degli
anziani, in particolare dei pensionati, sono il polmone finanziario a tutela della rete familiare.