L’energia potenziale delle banche centrali

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In fisica, l’energia potenziale è quella che un corpo possiede in funzione della sua posizione; per esempio possiamo pensare a uno sciatore in cima a una pista. Questa forma di energia ha il potenziale di trasformarsi in movimento: quando lo sciatore inizia la discesa prende velocità e la sua energia potenziale diminuisce. In questi termini, i comunicati e le conferenze stampa delle principali banche centrali della scorsa settimana sembravano voler conservare tutta l’energia potenziale della politica monetaria: nessuna di loro ha tagliato i tassi, nonostante l’inflazione sia ormai vicina ai livelli target. Ma i rendimenti sono precipitati: tornando al nostro sciatore, è come se involontariamente fosse scivolato giù per un tratto della discesa.

Questa fuga in avanti da parte dei mercati è dovuta al fatto che ormai da un paio d’anni anticipano le decisioni delle banche centrali: è stato così nel 2021, quando hanno dato l’allarme sull’inflazione nonostante i banchieri centrali la considerassero temporanea, e sembra che sia lo stesso anche ora
che scontano tagli dei tassi il prossimo anno. Il fatto che i mercati, soprattutto quello azionario, cerchino di anticipare ciò che avverrà tra qualche mese è fisiologico. Tuttavia credo che nel medio termine le banche centrali debbano cercare di riprendere il controllo della narrazione sulla politica monetaria, dimostrandosi maggiormente lungimiranti e meno dipendenti dagli ultimi dati economici, che spesso riflettono una realtà già superata.

Venendo agli avvenimenti di metà della settimana scorsa, come previsto la Federal Reserve non ha ritoccato i tassi, ma il Presidente Jerome Powell ha indicato come la politica monetaria statunitense abbia raggiunto il picco. Il mercato, forse con un pizzico di entusiasmo, ipotizza un primo taglio dei tassi a marzo, una discesa di oltre un punto percentuale durante il prossimo anno e un’altra riduzione di mezzo punto nel 2025 (la nostra stima è appena più cauta).

Quasi lo stesso copione si è ripetuto a Francoforte, dove la Banca centrale europea (BCE) ha mantenuto i tassi invariati, seppur aggiornando al ribasso le proprie stime di crescita e inflazione. Ma, sorprendentemente, Christine Lagarde ha annunciato un’accelerazione della riduzione del proprio bilancio dalla seconda metà del prossimo anno. La BCE ridurrà quindi più velocemente la liquidità in circolazione evitando di reinvestire le cedole e le obbligazioni in scadenza facenti parti del programma varato durante la pandemia.

Immaginando che l’istituto resti ancorato agli ultimi dati storici, ci aspettiamo un primo taglio a giugno e un allentamento totale di tre quarti di punto nel corso del prossimo anno. Non si può però escludere un’anticipazione di qualche mese, visto il debole quadro economico. La Banca nazionale svizzera ha mandato a sua volta messaggi più concilianti rispetto alle precedenti occasioni, ma anche in questo caso non ci sono state variazioni della politica monetaria e ci aspettiamo una riduzione di tre quarti di punto nella seconda parte dell’anno prossimo.

Un po’ più cauta è sembrata la Bank of England che, come le altre banche centrali, non ha modificato i tassi, ma ha respinto le ipotesi di tagli a inizio anno, tenendo in considerazione alcune dinamiche specifiche dell’economia britannica. Come anticipato all’inizio, questa inerzia delle banche centrali si confronta con il fermento dei mercati finanziari: da fine ottobre il rendimento del Treasury statunitense a 10 anni è sceso di un punto percentuale, quello dei Bund di 0,7 punti percentuali e quello dei BTP di quasi un punto percentuale.

Per quanto si tratti di movimenti importanti, arrivano dopo un anno nel quale le obbligazioni non hanno brillato e hanno recuperato solo una piccola parte delle svalutazioni del 2022, l’anno peggiore di sempre per il reddito fisso. Il mercato azionario si è dimostrato più dinamico sul tema della riduzione dei tassi d’interesse e ha invece registrato rialzi intorno al 20% dall’inizio dell’anno per indici come l’S&P 500 e l’Euro Stoxx 50; il FTSE MIB, che rappresenta il mercato italiano, sfiora addirittura il 30%.

Penso che in questa fase sia da preferire il mercato obbligazionario e che ci siano ancora opportunità di assicurarsi rendimenti elevati, rendendoli duraturi con scadenze medio-lunghe e limitando la liquidità alle effettive necessità. Le obbligazioni di buona qualità hanno poche probabilità di perdere valore, se tenute a scadenza.

Potrebbero anche presentare un andamento anticiclico: se l’economia dovesse sorprendere in negativo, le banche centrali si vedrebbero costrette ad accelerare i tagli e ciò potrebbe spingere al rialzo le quotazioni delle obbligazioni di buona qualità con scadenza medio-lunga (l’esatto opposto di quanto avvenuto l’anno scorso). Anche il mercato azionario beneficia di tassi d’interesse più bassi, che tipicamente spingono verso l’alto il rapporto prezzo/utili (P/E). L’andamento degli utili è visto in leggero aumento il prossimo anno ma, in un contesto di bassa crescita economica, potrebbe rivelarsi molto eterogeneo tra settori produttivi e singoli emittenti. Le società con buona redditività e basso indebitamento sono da preferire.