Quanto costerà il denaro nel 2024?

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I banchieri centrali non si sbilanciano. Per Jerome Powell la politica monetaria resterà restrittiva fino a quando alla Fed si saranno convinti che l’inflazione starà davvero tornando al 2%, al momento è prematuro parlare di “quando la politica potrebbe allentarsi” dice il capo della Fed. Il resto del mondo però la pensa all’opposto, l’opinione diffusa è che il ciclo degli aumenti dei tassi sia finito, l’inflazione che rallenta oltre le previsioni ha inaugurato la stagione delle scommesse sui primi tagli. Negli Stati Uniti l’inflazione è scesa a 3,2%, quella “super-core”, che esclude alimentari, energia e i beni di prima necessità è al 2%. Nell’Eurozona è scesa a un sorprendente 2,4%, il livello più basso dal luglio 2021 e prossima al sospirato obiettivo del 2%. I banchieri centrali sono comprensibilmente preoccupati della propria credibilità, vogliono evitare lo smacco di sbagliare di nuovo le previsioni sulla traiettoria dell’inflazione, non vogliono essere costretti a tornare sui propri passi.

Si sta però profilando il rischio opposto, sottovalutare cioè la disinflazione e farsi trovare nuovamente in ritardo, questa volta nell’aspettare troppo prima di ridurre il costo del denaro; le conseguenze sarebbero costose per l’attività economica e per i governi alle prese con enormi debiti pubblici.

Nelle prossime decisioni di policy non ci saranno solamente le variabili economiche, il 2024 sarà un anno elettorale negli Stati Uniti, in Europa e in Gran Bretagna (elezioni locali e forse elezioni politiche anticipate); la miscela di alto costo del denaro, domanda debole e disoccupazione alimenteranno le pressioni politiche per un allentamento dei tassi. Una condizione particolarmente vera per l’Eurozona: il valore annualizzato delle rilevazioni dell’inflazione core degli ultimi tre mesi è prossimo all’obiettivo della banca centrale ma, dall’altra parte, la crescita dei salari esercita sui prezzi pressioni opposte. È ragionevole attendersi più di una sollecitazione sull’istituto di Francoforte da parte dei paesi con più alto debito.

Sembra che si stia finalmente tornando in un mondo in cui il rischio e il rendimento sono di nuovo prezzati in modo coerente con la realtà, una percezione adulterata dalle misure straordinarie tenute dalle banche centrali così a lungo da diventare ordinarie (citofonare ai dirigenti della Silicon Valley Bank e di altre centinaia di banche regionali). Tornare alla normalità vuol dire che è il mercato a determinare la ricompensa ritenuta adeguata per dati livelli di rischio di una qualsiasi obbligazione. L’ambiente torna favorevole all’intero sistema finanziario e agli obbligazionisti.

Le vicende nello scacchiere geopolitico sono tornate a esercitare una marcata influenza su tutte le economie del mondo e quelle emergenti sono un po’ più vulnerabili. L’inversione della politica monetaria americana ha accelerato le vendite di dollari e favorito le performance del debito emergente ma non dimentichiamo che il dollaro, con buona pace del velleitarismo BRICS, resta il luogo della sicurezza, eventuali aggravamenti delle crisi alimenterebbero una ripresa del biglietto verde.

In tanta incertezza, la cosa certa è che stiamo entrando nel tempo in cui si esaurisce il lag temporale tra le decisioni di politica monetaria e i loro effetti sul sistema; lo scenario più probabile, per noi in GAM, è quello di un rallentamento della crescita e della domanda, della discesa dell’inflazione e dei rendimenti. In particolare, il rallentamento dei prezzi nei generi alimentari accelererà la discesa dell’inflazione nelle economie emergenti.