Il bilancio del sistema previdenziale italiano

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E’ stato presentato l’ Undicesimo Rapporto sul sistema previdenziale italiano del Centro Studi di Itinerari previdenziali. Così come viene sottolineato, in continuità con le pubblicazioni un tempo realizzate dal Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale, costituto dalla riforma Dini e cessato nel 2012, il Rapporto racchiudere sia una visione d’insieme del nostro complesso sistema previdenziale (inteso nell’accezione più ampia del termine), in una “stagione” in cui l’Italia si trova ad affrontare la più grande transizione demografica , sia una riclassificazione all’interno del più ampio bilancio dello Stato della spesa sostenuta per il welfare.

Lo studio illustra gli andamenti della spesa pensionistica, delle entrate contributive e dei saldi delle differenti gestioni pubbliche e privatizzate che compongono il sistema pensionistico obbligatorio del Paese mettendo in particolar modo in evidenza le principali variabili ( numero degli iscritti attivi, numero dei pensionati, contribuzione media,  pensione media  e relativi rapporti economici e demografici ) che fotografano la situazione di INPS e Casse di Previdenza dei liberi professionisti al 2022, ultimo anno di rilevazione per il quale sono disponibili dati completi.

Quali sono le principali evidenze? Si rimarca l’aumento del numero dei pensionati, che salgono dai 16,099 del 2021 ai 16,131 milioni del 2022 (+32.666 unità), prosegue la risalita del tasso di occupazione anche se in ambito europeo è tra i più ridotti e risale fino a quota 1,4443 il rapporto occupati e pensionati, ancora però distante dall’ 1,5 individuato come soglia minima necessaria per la stabilità di medio-lungo termine della nostra previdenza obbligatoria. Per garantire la sostenibilità prospettica finanziaria del sistema pensionistico italiano, strutturato sulla ripartizione, occorre poi ridurre il numero delle uscite anticipate per garantire sostenibilità anche ai più giovani, nell’ambito di quel patto intergenerazionale insito in un sistema che vede appunto le pensioni di quanti sono già in quiescenza pagate con i contributi versati dai lavoratori attivi. Va poi favorito l’invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione, strutturate le politiche attive del lavoro, da realizzare di pari passo con un’intensificazione della formazione professionale, anche on the job e delineato un adeguato sistema di prevenzione, intesa in senso più ampio come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute.