Greenwashing e greenhushing. Aspetti legali dei diversi approcci all’ambiente

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Intervista all’Avv. Barbara Pirelli — 

Di greenwashing si parla da tempo, perché il fenomeno ha occupato le prime pagine dei giornali del settore ambiente. Del resto, la mancanza di una definizione giuridica vincolante per il greenwashing rappresenta un ostacolo per le autorità di regolamentazione.

Lo IOSCO, che raggruppa le autorità di regolamentazione dei titoli di tutto il mondo, ha affermato recentemente che il greenwashing è già stato aggravato da alcune “pratiche scorrette” correlate. Lo IOSCO ha scoperto che nessun ente di regolamentazione esaminato dispone di un quadro specifico per affrontare anche il “greenhushing” e il “greenbleaching”, nonostante la crescente importanza della questione. L’organismo di regolamentazione globale ha pubblicato una panoramica delle iniziative intraprese in varie giurisdizioni, ma siamo solo all’inizio.

Chiediamo il parere dell’Avvocato civilista Barbara Pirelli del Foro di Taranto, anche Consulente Ambiente e Sostenibilità – Codice Etico e d.lgs. 231/2001 – autrice di innumerevoli articoli, ideatrice di alcune rubriche giuridiche e del format giuridico televisivo “Snack di diritto-il notiziario giuridico flash-“ presenti nel web; autrice del libro “Avvocato, si può?” (nato dall’omonima rubrica social) in uscita nelle prossime settimane, Di Leandro Editore-Roma; Ideatrice del format sul mondo del green e della sostenibilità Incontri Circolari, della rubrica Yes Green, co-autrice di pubblicazioni scientifiche sulle Comunità Energetiche, tra gli esperti di Voci per il clima di Greenpeace, Referente Taranto Plastic Free. Attualmente scrive per NT + Diritto – Il Sole 24 Ore.

Intervista all’Avv. Barbara Pirelli

Qual è la principale differenza fra i due termini  greenwashing e il greenhushing ?

“Prima di procedere all’analisi di questi due fenomeni, credo sia  opportuno soffermarsi su quanto sia importante la corretta comunicazione aziendale per costruire e mantenere nel tempo la credibilità e la fiducia dei clienti.

Molte aziende decidono di raccontarsi attraverso lo storytelling, una narrazione emotiva della propria dimensione aziendale, in cui si racconta la propria brand identity per catalizzare l’attenzione dei consumatori e trasmettere loro messaggi etici e di valore. Un’azienda per poter mantenere una posizione sul mercato e per non pregiudicare la sua reputazione deve raccontarsi in modo onesto e credibile, deve mettere in atto quello che viene definito “l’emotional marketing” in buona sostanza le scelte di acquisto dei consumatori sono legate meno alla razionalità e più alla fiducia e all’affetto verso un determinato brand.Nella corretta  comunicazione di impresa vanno raccontati la mission, la vision, il purpose , i processi di realizzazione e distribuzione dei prodotti, l’utilizzo dei prodotti ma anche l’impegno dell’azienda a sostenere campagne sociali o ambientali.

Tutto questo percorso comunicativo deve essere fatto nella massima trasparenza e tracciabilità delle dichiarazioni rese non sono,dunque, consentite bugie con le gambe corte. Proprio nell’alveo della comunicazione opaca ed evasiva si inseriscono i fenomeni del “greenwashing e del greenhushing”.

Il primo fenomeno, noto anche come “ambientalismo di facciata”,  è correlato a
un’azione di propaganda  dell’azienda che si proclama attenta alle tematiche ambientali e di sostenibilità ma in realtà è solo un pretesto  per nascondere la polvere sotto al tappeto, in pratica si tratta di una dinamica subdola dell’azienda finalizzata a coprire l’impatto ambientale negativo della propria produzione.

Il greenhushing, invece, è un atteggiamento prudente dell’azienda che rimane in silenzio per paura di commettere errori di comunicazione. Nei casi di greenhushing l’azienda ha realmente  intrapreso  un percorso virtuoso verso la responsabilità sociale di impresa( ad esempio adottando politiche verso la tutela dell’ambiente, riducendo l’impronta climatica, migliorando le politiche di welfare aziendale)  ma  evita di parlarne, di dare risalto all’adozione di buone pratiche green per evitare di incorrere nel tanto temuto fenomeno del “greenwashing”. 

Il greenhushing è un atteggiamento adottato soprattutto da piccole realtà imprenditoriali che non essendo particolarmente strutturate dal punto di vista della formazione, della consulenza legale e strategica mantengono un profilo basso, senza esaltare la loro conversione verso la transizione ecologica”.

Quindi un’azienda che fa greenhushing oppure greenwashing può danneggiare se stessa?

“Assolutamente sì. Entrambi i fenomeni, anche se diversi tra loro, possono pregiudicare la reputazione aziendale sul mercato perché mettere in atto condotte comunicative fumose o silenti determina la sfiducia di tutti gli stakeholder verso il brand. Per evitare che un’azienda si trovi all’improvviso a dover fare i conti con il calo della brand reputation è importante che abbia piani d’azione ben strutturati dal punto di vista delle strategie di marketing in grado di mantenere l’equilibrio reputazionale, in termini di coerenza e continuità nel tempo. L’affidabilità di un brand è in gran parte legata anche alla sua reputazione sul web alimentata non solo dalle recensioni dei consumatori ma anche dai pareri degli influencer, degli opinion leader, dei blogger, delle testate giornalistiche ecc.

Quando un’azienda viene accusata di greenwashing l’onta è davvero pesante e i danni alla reputazione e all’immagine possono diventare incalcolabili e gravissimi perché   possono registrarsi perdite economiche o crac finanziari, si possono subire sanzioni da parte dell’AGCM (Autorità della Concorrenza e del Mercato), si possono perdere partners e collaborazioni, si possono affrontare ingenti spese legali per difendersi in un contenzioso ecc.”

Come si possono evitare questi rischi?

“Per evitare che un’azienda finisca in una shitstorm (che elegantemente possiamo definire tempesta di letame) in seguito all’accusa di  greenwashing è opportuno che l’azienda si affidi  ad un team di esperti in ambito legale, della comunicazione strategica e della responsabilità sociale d’impresa. Quando un’azienda cade nelle maglie del greenwashing con molta probabilità avrà sottovalutato  l’importanza della consulenza legale preventiva assolutamente necessaria prima di effettuare scelte commerciali o decisionali di qualunque natura. Resta sempre attuale l’adagio” prevenire è meglio che curare”.

Un’azienda che voglia tutelare la propria reputazione deve anche affidarsi a figure professionali come l’ E-Reputation Manager  che monitora continuamente le informazioni sul web ,crea una solida identità digitale dell’azienda e tra le sue competenze rientrano il web analytics, il web advertising, la  protezione dei dati personali e privacy, la psicologia dei consumi, le comunicazioni di impresa ecc.

Per il greenhashing il ragionamento è diverso: è considerato un comportamento omissivo dettato dalla paura delle aziende di commettere degli errori nella comunicazione delle buone pratiche green ma al momento in Italia non ci sono risvolti giuridici”.

Che cosa significa invece il termine “greenbleaching” che non è granché usato in Italia?

“Il Securities and Markets Stakeholder Group (SMSGha utilizzato il termine “greenbleaching” per indicare il fenomeno per cui i gestori di fondi investono in attività sostenibili  ma si astengono dal dichiararlo per evitare i rischi legali connessi. L’SMSG ritiene che, finché non vi è l’obbligo legale di dichiarare la sostenibilità di un prodotto, non dichiarare la sostenibilità non può essere considerato una “falsa dichiarazione” e non dovrebbe essere sanzionato”.

Ma il greenwashing, invece, ha delle conseguenze giuridiche?

“Sì,  in particolare il greenwashing rientra nel quadro normativo della concorrenza sleale disciplinato dall’art. 2598 c.c. ; la concorrenza sleale viene contrastata con un’azione inibitoria di cui all’art. 2599 c.c. , inoltre, l’autore della concorrenza sleale può essere tenuto al risarcimento dei danni così come previsto dall’art. 2600 c.c. e ulteriore conseguenza è quella che venga ordinata la pubblicazione della sentenza”.

Dal punto di vista legale, quali sono le attuali tendenze e orientamenti che caratterizzano la giurisprudenza in Italia?

“Da qualche anno anche la giurisprudenza italiana ha cominciato ad occuparsi di greenwashing. A fare da apripista è stato un provvedimento del Tribunale di Gorizia che nel novembre 2021 ha stabilito: ”la sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da un’impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto del consumatore”.

Il fenomeno può assumere anche rilevanza penale?

“Sul greenwashing si è aperto un dibattito sull’eventuale rilevanza penale della condotta; secondo un’interpretazione estensiva il greenwashing potrebbe anche essere inquadrato nel “ reato di frode in commercio ” di cui all’art. 515 c.p. che rientra tra i c.d. reati presupposto previsti dal d.lgs. 231/2001 , idonei a configurare la responsabilità amministrativa dell’ente in conseguenza di un reato.
Un’azienda che decanta il suo prodotto come 100% naturale o green senza dare prova della correttezza delle sue dichiarazioni potrebbe incorrere in una responsabilità penale rilevante, consistente nel consegnare all’acquirente una cosa diversa da quella dichiarata in termini di qualità.

 Si è anche pensato che il greenwashing possa configurare il reato di truffa di cui all’art. 640 c.p. perché pubblicizzare un prodotto come amico dell’ambiente senza esserlo realmente  potrebbe essere considerato un raggiro o artificio che induce in errore il consumatore e tutti gli stakeholder. Questa ipotesi è meno plausibile perché attualmente il reato di truffa non rientra tra i c.d. “reato presupposto” previsti dalla disciplina del D.lgs. 231/2001”.

L’Unione Europea si è pronunciata in merito?

“Anche il Parlamento Europeo si è mosso per tutelare i consumatori da pratiche di commercializzazione ingannevoli; è stata infatti approvata pochi giorni fa la Direttiva Europea anti greewashing con 593 voti favorevoli, 21 contrari e 14 astenuti. Le nuove regole mirano ad una pubblicità più chiara ed attendibile, non sono ammesse indicazioni ambientali generiche come: “verde, ecologico, biodegradabile, naturale, climaticamente neutro ecc.”.

L’intento dell’Unione Europea è anche quello di inserire le motivazioni, le prove che portano ad associare il prodotto ad un elemento ecologico. Si dovranno specificare schemi di certificazione approvati o stabiliti da autorità pubbliche.

Saranno anche bandite le dichiarazioni ambientali basate esclusivamente su sistemi di compensazione delle emissioni di carbonio e altre pratiche ingannevoli. Non sarà possibile fare dichiarazioni sull’intero prodotto se la dichiarazione riguarda solo una parte dello stesso, quindi, andranno indicate le esatte percentuali.

Inoltre, si darà importanza anche alla durabilità dei prodotti con informazioni più chiare sulla garanzia, responsabilizzando sia i produttori che i consumatori”.