L’inflazione al 2% non deve pregiudicare le sorti dell’economia

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Sia le economie reali che i mercati finanziari vogliono che l’inflazione raggiunga 2%, ma da dove ha origine questo obiettivo e quanto è imperativo?

Quando si parla di inflazione, il 2% è il numero di riferimento. Gli Stati Uniti, l’Europa e il Regno Unito si stanno impegnando per raggiungerlo e, nel farlo, percorrono un sentiero complesso fatto di aumenti dei tassi per rallentare la crescita e tagli per stimolarla. Ma non tutti sanno da dove ha origine l’obiettivo del 2% e perché è considerato il punto di riferimento quando si parla di inflazione.

Si potrebbe pensare che abbia avuto origine da una rigorosa analisi accademica, ma per uno strano scherzo del destino l’origine è da ricercare in un commento casuale pronunciato in Nuova Zelanda alla fine degli anni Ottanta. In un’intervista televisiva, al ministro delle Finanze neozelandese Roger Douglas fu posta una domanda sull’elevato tasso di inflazione del Paese. Il Ministro commentò che “sarebbe stato meglio pari allo 0-1%”, facendo sì che la banca centrale si sentisse obbligata a definire un obiettivo ufficiale, non avendone mai avuto uno prima. Incorporando un arrotondamento per tenere conto della tendenza al rialzo e con l’aggiunta di un po’ di margine di manovra, nacque l’obiettivo del 2%.

L’impatto di questo obiettivo compensò la mancanza di credibilità accademica. Nel 1989, la Nuova Zelanda aveva un tasso d’inflazione del 7,6%, ma nel 1991 era del 2%, cosa che fu notata dagli altri Paesi.

Nel 1992, la Banca d’Inghilterra iniziò porsi come obiettivo d’inflazione un livello tra l’1 e il 4% e continuò a perfezionare questo dato fino al 2003, anno in cui venne ufficialmente implementato l’obiettivo del 2%.

Negli Stati Uniti, sia il presidente della Federal Reserve Volcker (1979-1987) che il suo successore Greenspan (1987-2006) si espressero a favore di un’inflazione compresa tra lo 0 e l’1%, ma alla fine Bernanke giunse alla conclusione che un obiettivo più elevato avrebbe consentito alla Federal Reserve di intervenire maggiormente in periodi di recessione. Gli Stati Uniti lo hanno adottato ufficialmente nel gennaio 2012.

In Europa, un tasso “inferiore ma vicino al 2%” è stato inseguito fin dal 2003, ma la Banca Centrale Europea ha adottato ufficialmente l’obiettivo fisso del 2% solo a luglio 2021.

Dati i retroscena poco scientifici, se il 2% sia davvero l’obiettivo ottimale rimane questione di dibattito. Forse sarebbe più opportuno chiedersi se sia davvero necessario raggiungere il 2%.

Riteniamo che la risposta sia no: ci aspettiamo che i tassi verranno tagliati quando il percorso dell’inflazione sarà impostato verso il 2,5%-3%. È importante che i banchieri centrali non siano troppo rigidi nelle loro posizioni, mantenendo i tassi troppo alti troppo a lungo, perché questo potrebbe riportarci nello stesso contesto affrontato prima della pandemia, dove l’inflazione era ferma intorno allo 0% e tutti temevano una possibile spirale deflattiva simile a quella giapponese. Tutte le economie hanno bisogno di un po’ di inflazione per sostenere la crescita e abbassare il costo reale degli ingenti oneri di debito, che la maggior parte dei paesi affronta attualmente. Il recente insorgere di nuove tensioni geopolitiche, in particolare sulle rotte di fornitura che attraversano il Mar Rosso, aumenta il potenziale rischio che le catene di fornitura vengano interrotte, il che farebbe crescere di nuovo l’inflazione. Questo avviene in concomitanza con l’allentamento delle condizioni finanziarie, come dimostra il rally delle società di criptovalute e di quelle legate all’intelligenza artificiale, che ha permesso ai consumatori di avere più ricchezza disponibile. Finché i salari e l’occupazione non si attenueranno, è probabile che l’inflazione rimanga salda per un po’ ai livelli attuali.

Riteniamo che l’obiettivo del 2% sia una guida ragionevole, ma l’aspetto fondamentale da ricordare è che questo non dovrebbe essere un obiettivo fisso per le banche centrali, a discapito di altri fattori. Sebbene l’attuale visione del mercato sia quella di un “non atterraggio”, con l’euforia che ne consegue, c’è ancora il rischio concreto che tassi tenuti alti più a lungo con l’obiettivo di raggiungere il 2% di inflazione possa causare danni economici, che abbiamo finora evitato.