Il problema è che viene presentato un DEF solo tendenziale e il sospetto è che senza alcuna programmazione concreta, rispetto a quella che sarà la politica di bilancio che il Governo intenderà concretizzare nei prossimi anni, sarà molto complesso valutarne l’efficacia. Circola la voce che al momento non ci fosse altra scelta, ma sembra più una “scusa” che un reale commento costruttivo.
Qualche domanda all’economista Alessia Potecchi
Il fatto che le regole europee non siano ancora abbastanza chiare può aver realmente creato difficoltà per il Governo nello stendere il piano?
“Tutto quello che noi avevamo previsto e che ci ha preoccupato si è verificato. Il Governo in Manovra ha posto delle stime sovrastimate di crescita e ora ha dovuto fare marcia indietro, non sa dove reperire le risorse per confermare i provvedimenti principali adottati a partire dal taglio del cuneo e la riduzione delle aliquote finanziate solo per quest’anno che rappresentavano il cardine della Manovra: ma aggiungo anche il credito di imposta a favore delle imprese, il welfare aziendale, la riduzione del canone RAI, la diminuzione delle tasse per le mamme che hanno due figli, gli strumenti di flessibilità per la pensione ecc… Le difficoltà non le creano le norme europee, le creano i nostri politici”
Ma quanti soldi mancano per realizzare gli obiettivi?
“Ci vorranno almeno 20 miliardi che ci devono spiegare dove li andranno e prendere, ma il Governo tace perché sa che l’unica soluzione sarà quella di effettuare tagli importanti alle spese e un aumento considerevole delle tasse e sarà costretto a stralciare tutte le promesse sbandierate. Inoltre l’Italia entrerà dopo l’estate in procedura di deficit eccessivo nel contesto europeo e quindi non saremo più neanche nelle condizioni di poter utilizzare lo strumento di ulteriore deficit per compensare le risorse che mancano. Giorgetti ha inoltre chiesto in questo quadro di prolungare la scadenza fissata al 2026 per l’attuazione dei piani del PNRR proprio perché anche su questa questione non riusciamo a recuperare risorse per i ritardi esorbitanti. Ancora il Governo cha fa da scarica barile, attribuisce la responsabilità di questa situazione dei conti pubblici preoccupante alla gestione del Superbonus ma deve anche qui spiegare, cosa che non fa, come mai non è riuscito o non ha voluto fermare l’impennata dei costi esorbitanti di questo strumento. I dati sono chiari il costo del Superbonus è stato di 69 miliardi nel 2022, salito poi a 100 a fine 2023, arrivando a 122 miliardi a marzo di quest’anno, come mai il Governo non si è attivato per bloccare questi costi che avrebbero messo chiaramente i conti pubblici? Su tutto questo c’è un silenzio assordante ma i dati parlano ahimè molto chiaro”.