Il “cosa dire” nella comunicazione della sostenibilità. Generosità & opportunismo

Maurizio Mercurio -
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Non banalizzare la comunicazione green

— di Maurizio Mercurio

Assistiamo a un cambio di passo. La “Sostenibilità”, partita come sfida romantica di un’élite generosa, ha oggi preso la via dell’opportunismo. Ai visionari uomini di marketing si è accodato tutto il gregge di chi non si lascia scappare un posto sul carro delle tendenze (brandwagon)

I fatti

Il “Compromesso Storico” fra green marketing e gestione profit minded è in atto.
È un’opinione? No, sono dati di borsa, numeri. Uno studio della società di consulenza americana Kroll ci informa che le aziende europee con rating Esg (Environmental Social Governance) hanno ottenuto un rendimento medio annuo del 10% rispetto alla media del 7%.
C’è poi un’altra formidabile ragione. Un prodotto sostenibile, che spesso è più costoso da produrre, porta una perdita economica? Non è detto. Da una parte questo extra costo può ridurre i profitti che in bilancio compaiono nel Profitti e Perdite. Dall’altro l’azienda aumenta di valore, nel senso che migliorano la “Brand Image” e la “Corporate Image” che in bilancio compaiono nello Stato Patrimoniale. L’eventuale riduzione del profitto è un dato cartesiano, numerico, prevedibile dalla contabilità industriale, mentre l’incremento di valore non ha la compiacenza di essere deterministico, sarà una stima degli amministratori.

Le conseguenze

Cosa succede quando l’attenzione al Pianeta diventa una strategia ecumenica?
Per inflazione di adesioni verdi si svalutano le buone intenzioni. Quando tutti sventolano le stesse virtù, il target si annoia e, irritato, non ci crede (88%). Le loro parole sono frasi di circostanza che non lasciano nessun entusiasmo. Ipocrisie di maniera. Litanie comunicazionali come quei “Leggere attentamente il foglio illustrativo”. Quindi qualcosa nella comunicazione va cambiato.
La domanda che più spesso mi pongono è “Quali temi sono più adatti per comunicare lo stile green?”. Questa domanda però non porta alla soluzione.
Tutta la letteratura scientifica e l’A.I. concordano su: autenticità, alleanza con il consumatore, coerenza, trasparenza e attenzione al territorio.
Questa convergenza non aiuta e, peggio, contagia banalità. Non ci sono dispute accademiche su questi contenuti quindi non si scappa dall’appiattimento dei claim.
Già che i temi evidenziati sono, di sicuro, nell’istinto di chi legge, allora devo precipitosamente allontanarmi dall’ovvio.

Una frase su Twitter recitava: “Non abbiate paura delle banalità. Abbiatene terrore”.

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La conclusione

La sfida, la madre di ogni battaglia, non sarà tanto nel “cosa dire” – i temi più convincenti per mostrare che anche la nostra marca è di tendenza” – ma nel “come dire”. La stanza dei bottoni si sposta dal marketing alla comunicazione.
Dai contenuti alle emozioni che li trattengono. Così si spinge più in là la nostra disciplina: dalla tecnica di positioning, alla cultura della comunicazione.
Attenti, non sto dicendo che il contenuto del positioning è meno importante della comunicazione. È la leva di ogni strategia di marketing ed è sempre e comunque al primo posto in ogni ragionamento ma l’arcano corteggia altri saperi e diversi talenti.
Ribadito che il primo obiettivo di ogni marca è differenziarsi (secondo risorse e opportunità), quello che va fatto è abbinare il proprio positioning strategico con la sostenibilità. Come incastrare bene scarponi e sci per continuare lo slalom fra altri brand.
Il resto delle energie concentratele nella scelta e nella relazione con l’agenzia di comunicazione, non fornitore ma partner.
Se il “come dire” è la sfida, allora farò seguire un prossimo articolo sul “come dire”. Ci sarà molta psicologia nel maneggiare e dosare le emozioni che sono il carburante della comunicazione, ci sarà sociologia applicata, conoscenza dei media e storytelling.
Per aspera ad astra.