Presidenza Trump, effetti non drammatici per Usa e mondo nel medio periodo

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Se è vero che l’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca avrà certamente conseguenze sulla geopolitica e l’economia USA e globale, con ricadute leggermente negative nel medio periodo, riteniamo che gli effetti non saranno drammatici.

Ci sono infatti alcuni fattori che potrebbero mitigare i possibili effetti avversi delle promesse fatte da Trump in campagna elettorale, prima fra tutti l’istinto di sopravvivenza politica dello stesso Trump e la sua capacità di fare marcia indietro senza indugi. Di conseguenza, anche immaginando gli scenari peggiori, se verranno implementate politiche con ricadute eccessivamente negative sull’economia, lo stesso Trump potrebbe intervenire tempestivamente per modificarle.

Sul fronte interno, ad esempio, se i preannunciati tagli alle tasse dovessero mandare fuori controllo il deficit pubblico statunitense (attualmente già alto, intorno al 7%), spingendo ulteriormente al rialzo i già cari rendimenti obbligazionari (4,4%) e frenando le borse, è probabile che Trump introduca un piano di riduzione del debito.

Per quanto riguarda l’immigrazione, crediamo che il nuovo inquilino della Casa Bianca rinuncerà alla promessa delle deportazioni di massa per evitare danni alla crescita economica e alla sua immagine pubblica, come avvenuto con il suo primo mandato. È verosimile, inoltre, che Trump concentri i propri sforzi sulla riduzione dell’ingresso di nuovi immigrati piuttosto che sull’espulsione di quelli già residenti nel paese: questi ultimi sono infatti cruciali per l’economia perché suppliscono alla carenza di manodopera in determinati settori e aiutano a tenere sotto controllo i salari e, quindi, l’inflazione che è oggi la questione più importante.

Da notare, inoltre, che anche se il dollaro potrebbe beneficiare nel breve periodo delle aspettative di tassi più alti, nel medio periodo finirebbe per soffrire, fra l’altro, per effetto dell’imprevedibilità di Trump. Un altro fattore che potrebbe pesare sul biglietto verde, oltre all’insostenibilità del deficit di bilancio americano, è una possibile messa in discussione dell’indipendenza della Federal Reserve, uno scenario che tuttavia riteniamo di difficile realizzazione. Dei dodici membri del Fomc che votano le politiche sui tassi di interesse, cinque sono stati nominati da lui, meno della metà, e non è neppure chiaro se si siano disponibili a recepire le sue “raccomandazioni”. Perfino Powell, anche lui di nomina Trumpiana, ha dimostrato di non essere influenzabile. Nel caso in cui Trump, forte del controllo del Congresso cambiasse la legge per riuscire ad ottenere una qualche forma di controllo indiretto della Fed, la reazione dei mercati sarebbe infine molto pesante, con una decisa accelerazione dei rendimenti che metterebbe l’economia USA a rischio di una recessione.

Restando negli Stati Uniti, la riduzione della pressione fiscale e la deregolamentazione potrebbero favorire il mercato azionario ma, nel medio periodo, Wall Street potrebbe risultare penalizzata se l’imprevedibilità di Trump aumentasse eccessivamente l’incertezza e il Pil dovesse rallentare.

Allargando lo sguardo alle economie degli altri paesi pensiamo che sia l’Europa che la Cina, così come il Messico, saranno impattati dall’aumento dei dazi ma, nel caso delle prime due, in maniera contenuta perché il peso degli scambi commerciali con gli Stati Uniti non è significativo.

Uno sguardo all’Europa

Allungando l’orizzonte alla seconda metà del decennio (2025-2030) anche per il Vecchio Continente, lo scenario è potenzialmente preoccupante per quanto riguarda la crescita. Ciò che fa crescere l’economia sono infatti le ore lavorate e la produttività per ora lavorata. Le ore lavorate dipendono dal differenziale tra il numero di giovani che entrano nel mondo del lavoro e nuovi pensionati e questo trend in Europa risente della crisi demografica: si stima infatti che, prima dell’effetto dell’immigrazione, la popolazione attiva europea diminuirà dello 0,6% all’anno dal 2030 fino alla fine del secolo. La soluzione è attirare più immigrati. A parte l’immigrazione, la produttività per ora lavorata in Europa cresce solo dello 0,8% all’anno, il che è piuttosto deludente, mentre negli Stati Uniti cresce dell’1,4%. L’unica speranza è quella di liberare i guadagni di produttività che provengono dall’adozione dell’intelligenza artificiale per riuscire a quasi raddoppiare la produttività, portandola all’1,4% in Europa. Naturalmente, è necessario che questa tecnologia venga impiegata nelle PMI, cosa che crediamo avverrà nella seconda metà di questo decennio.

Si tratterebbe di una potenziale sorpresa positiva che, se si materializzerà in Europa, a maggior ragione avrà luogo negli Stati Uniti.