L’impatto non solo del Covid-19 sui mercati emergenti

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I mercati emergenti hanno visto enormi movimenti negli spread, e le valutazioni sono ora interessanti in quanto il premio per il rischio non raggiungeva questi livelli dai tempi dalla crisi finanziaria del 2008. I premi al rischio hanno infatti superato i 700 punti base rispetto ai Treasury statunitensi a metà marzo – guardando indietro di oltre due decenni, questo livello è stato raggiunto esclusivamente durante la crisi finanziaria globale, dove gli spread sono rimasti sopra i 600 punti base solo per due trimestri. La scorsa settimana è stata caratterizzata da una drastica ripresa, e gli spread si sono ridotti di quasi 100 punti arrivando a 624 punti base. Per gli investitori con orizzonti temporali più lunghi, l’attuale livello di spread è molto interessante.

Il ruolo delle banche centrali

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La risposta in termini di politiche da parte dei mercati emergenti si differenzia dalle precedenti crisi, poiché molte banche centrali di questi paesi sono state in grado di tagliare i tassi di interesse, nonostante l’indebolimento delle valute. Con premi al rischio più elevati i paesi emergenti devono affrontare costi di finanziamento potenzialmente superiori, ma il rally dei Treasury americani ha mantenuto i rendimenti nel complesso ragionevoli per i paesi con fondamentali migliori. Recentemente, la Repubblica di Panama ha emesso obbligazioni a lungo termine con scadenza nel 2056 con una cedola del 4,5%, un valore non troppo lontano dalle precedenti obbligazioni a lungo termine emesse dal paese, anche se lo spread era molto più ampio. Inoltre, molti emergenti hanno accesso a fonti di finanziamento alternative – ad esempio, i mercati locali per i paesi più sviluppati, o il sostegno bilaterale e multilaterale, che possono limitare le pressioni di finanziamento. La portata della risposta politica nei mercati sviluppati è stata molto ampia e dovrebbe contribuire ad attenuare l’impatto del virus. La Federal Reserve ha tagliato i tassi di interesse in modo efficace fino a zero e ha annunciato un Quantitative Easing illimitato. Dopo la decisione, il bilancio della Fed è salito rapidamente da 4 miliardi di dollari USA ad un massimo di sempre di 5,25 miliardi, senza alcun limite immediato. Il pacchetto fiscale statunitense da 2 miliardi di dollari vale circa il 10% del PIL se interamente utilizzato. Molti altri paesi hanno annunciato misure fiscali e monetarie per ammortizzare gli effetti della COVID-19. Questo ci fa sperare che i livelli di cedola possano essere mantenuti in una certa misura, e che la fiducia di consumatori e imprese possa migliorare rapidamente con l’allontanarsi del virus.

Considerazioni in merito alla popolazione

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Osservando più da vicino l’effetto del virus sui mercati emergenti, possiamo prima di tutto notare che questi paesi hanno tipicamente popolazioni molto giovani. La quota della popolazione di 65 anni e oltre è inferiore al 10% – molto più piccola della quota del 20% nei mercati sviluppati. Il gruppo “a rischio” è quindi molto più contenuto nei paesi emergenti rispetto ai mercati sviluppati, anche se i sistemi sanitari dei primi sono molto più deboli.

Alcuni paesi emergenti hanno responsabilmente imposto un blocco e rigorose misure di quarantena, come il Sudafrica e i paesi dell’Europa orientale. Ma altri, per esempio molte nazioni africane, semplicemente non hanno la capacità istituzionale per farlo – e poi ci sono anche quei paesi con leader populisti che hanno sfidato i consigli degli esperti, come Brasile e Messico, che insieme rappresentano circa la metà della popolazione dell’America Latina.

A proposito del petrolio

Negli emergenti, il movimento del mercato non è legato esclusivamente ai timori sul COVID-19, ma anche al precipitoso calo del prezzo del petrolio, passato dai 50 dollari al barile di fine febbraio ai circa 23 dollari al barile attuali. La decisione dell’Arabia Saudita e della Russia di non rinnovare l’accordo dell’OPEC+, congiuntamente con l’annuncio di enormi aumenti degli obiettivi di produzione, a fronte di un forte calo della domanda dovuto a COVID-19, ha messo il greggio in una situazione di stallo e ha esposto gli emergenti esportatori di petrolio a rischi significativi. I paesi più colpiti sono quelli che dipendono dal petrolio per gran parte delle esportazioni e/o delle entrate fiscali. All’interno di questo gruppo vi sono quelli che hanno grandi riserve di bilancio (EAU, Arabia Saudita, Russia) e quelli che non hanno misure sufficienti (Angola, Bahrain, Nigeria).

In questo contesto, abbiamo ridotto le posizioni negli esportatori di petrolio (Oman, Colombia, Nigeria) e aumentato l’esposizione agli importatori (Repubblica Dominicana, Ungheria, Panama). Una lunga guerra delle materie prime e un prezzo del petrolio basso e duraturo non saranno di supporto per l’asset class. Tuttavia, riteniamo improbabile che la situazione attuale e lo stallo tra Russia e Arabia Saudita persistano, in quanto i prezzi più alti vanno a vantaggio di entrambi i paesi. La diminuzione della domanda per il blocco imposto a seguito della diffusione del COVID-19 crea ulteriori pressioni sui prezzi del petrolio, ma in ultima analisi, riteniamo che i produttori di greggio si sforzeranno di bilanciare l’offerta e la domanda per stabilizzare la situazione.