Cina. Una questione di morale?

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Per le società occidentali la Cina è una sorta di “terra promessa”: un paese con un’economia in fortissima crescita, lo sguardo rivolto al resto del mondo e 1,4 miliardi di abitanti nonché potenziali consumatori. Quel che forse sfugge agli occhi dei più sono i possibili rischi legati alle relazioni economiche, almeno da una prospettiva occidentale.

Per spiegare cosa intendiamo facciamo un passo indietro e inquadriamo il contesto. L’associazione globale “Better Cotton Initiative” (BCI) si è posta l’obiettivo di valutare il cotone secondo i criteri di sostenibilità e di assegnare dei sigilli di qualità corrispondenti. Circa un anno fa, i rappresentanti dell’organizzazione si sono occupati della situazione degli uiguri nella Cina occidentale e hanno annunciato di non voler più assegnare il proprio sigillo al cotone proveniente da questa regione. Si sospettava infatti che le aziende della zona ricorressero al lavoro forzato. Inizialmente la decisione non ha scatenato grosse reazioni, se non l’abbandono dell’organizzazione da parte di alcune aziende cinesi.

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Attenzione all’ira popolare

Quando però qualche settimana fa, la catena di abbigliamento svedese H&M ha dichiarato sul suo sito web cinese di voler adottare la stessa linea della BCI, in Cina è scoppiata una gigantesca bufera online. La nostra analista locale Shenwei Li ci ha informati delle proteste organizzate fuori dalle filiali dell’azienda, a malapena citate dai media occidentali. Nel frattempo, l’astio di molti consumatori cinesi si è diffuso anche ad altri produttori occidentali di articoli sportivi che hanno adottato un approccio simile a quello di H&M.

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Shenwei ci ha raccontato un episodio accaduto al figlio di un suo conoscente che frequenta una scuola con convitto. Il ragazzo si sarebbe presentato a lezione il lunedì con ai piedi un paio di scarpe da ginnastica Nike (non ne aveva altre in valigia) e il mercoledì sarebbe stato costretto a scusarsi davanti all’intera classe per aver indossato quel marchio occidentale e a promettere di acquistare in futuro solo brand cinesi.

Il nazionalismo passa anche per lo shopping

Sarebbe disastroso se indossare marchi occidentali – fino a poco tempo fa considerati uno status symbol in Cina – fosse d’ora in poi considerata un’onta agli occhi dell’opinione pubblica. È evidente che la linea dura “China First” dimostrata da Pechino nei primi negoziati con il governo Biden trova ampio sostegno fra la popolazione. Molti cinesi sono profondamente nazionalisti e questo atteggiamento sta diventando sempre più radicale. In tanti pensano che le notizie sui soprusi inflitti agli uiguri siano “fake news”, niente più che un’interferenza dell’Occidente negli affari interni del paese.

Per ora queste sono solo impressioni e bisognerà ovviamente osservare gli sviluppi futuri. Tuttavia, il conflitto con gli Stati Uniti prosegue e forse bisognerebbe iniziare a tenere conto dei potenziali svantaggi per le aziende con una forte presenza nel tessuto economico cinese. Scenari come questo dimostrano ancora una volta l’influenza della geopolitica sull’economia. I contrasti sul fronte commerciale sono solo la punta dell’iceberg: Cina e Stati Uniti si contendono nientemeno che l’egemonia globale. Con tutti gli annessi e connessi, che probabilmente continueranno a riservare sorprese anche in futuro.