Tra paure di stagflazione e segnali di miglioramento

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Sentiamo sempre più parlare di stagflazione, ovvero di una combinazione di recessione o crescita zero (stagnazione) e alta inflazione. Questa combinazione spesso coincide con forti rialzi dei prezzi del petrolio, come negli anni 70.

Per diversi motivi, la stagflazione oggi appare meno probabile che negli anni 70: le aspettative di inflazione sono più stabili, le nostre economie usano meno energia che in passato, e la salita del greggio è stata meno severa che negli anni 70. Lo ha spiegato molto bene la BIS in un recente articolo.

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Tuttavia, più che la stagflazione in sé, quello che preoccupa davvero il mercato è la direzione di marcia: siamo davvero in una congiuntura in cui l’inflazione continua a sorprendere al rialzo mentre la crescita delude le attese?

Guardando l’evoluzione del consenso particolarmente su crescita in Cina e Europa, questi timori sono comprensibili. Soltanto qualche settimana fa, il mercato si aspettava una crescita del 6% in Cina e del 4% in Europa nel secondo trimestre. Adesso, queste stime sono intorno all’1%. E per quanto riguarda l’inflazione, i prezzi sono cresciuti a un tasso vicino al 10% annualizzato negli ultimi 3 mesi sia in Eurozona che in USA.

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A fronte di queste dinamiche, la priorità delle banche centrali che hanno tassi d’interesse ancora prossimi allo zero è contenere l’inflazione, anche indebolendo la domanda se necessario. La Fed ha guidato il mercato verso due rialzi di 50bp a giugno e luglio, e la BCE ha in pratica preannunciato un rialzo di 25bp a luglio.

Va ricordato che l’inflazione di per sé non è un problema per il mercato. Detto questo, un’inflazione così elevata obbliga le banche centrali ad alzare i tassi senza particolare riguardo per quello che succede alla crescita. Per questo motivo i tassi salgono anche quando (come ora) le economie non hanno la forza per gestire tassi più alti. È questa la ragione chiave per cui i rischi di stagflazione preoccupano i mercati, e la causa principale delle perdite sui mercati di rischio viste quest’anno.

Che cosa può interrompere questa apparente spirale negativa? Ci sono tre fattori, che chiaramente possono rafforzarsi a vicenda.

Primo, un rallentamento del momentum dell’inflazione. Ci riferiamo qui non tanto alle dinamiche anno-su-anno, che inevitabilmente godranno di effetti statistici favorevoli(base effects) nei mesi a venire che faranno rallentare l’inflazione. Piuttosto, sarà importante vedere se l’inflazione rallenta su base congiunturale, quindi mensile.

Secondo, dei segnali chiari che i rialzi sui tassi stanno già avendo degli effetti sull’economia, e quindi le banche centrali iniziano a usare un tono meno hawkish. Questo vorrebbe dire che gran parte dell’adeguamento dei tassi è già avvenuto.

Terzo, un miglioramento delle prospettive di crescita globali, in particolare nelle aree (Cina, Europa) dove i rischi sembrano maggiori.

Ci sono dei (timidi) segnali che lasciano ben sperare. Vediamo quali. Sull’inflazione, i dati di aprile continuano – come visto – ad avere delle dinamiche francamente preoccupanti. È anche vero però che le aspettative di inflazione futura si sono stabilizzate e che le dinamiche dei salari non destano per ora grande preoccupazione.

Sui tassi, è palese che il ritorno dei tassi sui mutui a 30 anni in US al loro livello più alto dal 2011 (oltre il 5%) stia avendo un forte effetto sul mercato immobiliare. Ad aprile, la vendita delle case in USA era scesa di oltre il 40% dal picco del 2020. Non deve sorprendere quindi che il tono della Fed stia iniziando a cambiare marginalmente. Ad esempio, Bostic (presidente Atlanta Fed) ha lasciato intendere che la Fed potrebbe considerare una pausa nel suo ciclo di rialzi a settembre.

Infine, in Cina assistiamo a decisioni del governo di fare un uso più aggressivo della leva fiscale e – soprattutto – a una graduale uscita dai recenti lockdown, che hanno paralizzato l’attività economica. Non è ancora chiaro come la Cina reagirebbe a nuove ondate di Covid. Tuttavia, se riuscisse a evitare nuovi lockdown, questo normalizzerebbe anche le supply chains globali e toglierebbe spinta all’inflazione.

In conclusione, ci sono ragioni per essere cautamente più ottimisti. Abbiamo assistito a una correzione importante del mercato e a una salita notevole dei tassi d’interesse a lungo termine, che li ha portati a livelli decisamente più consoni. Da qui in avanti, è lecito quindi attendersi un miglioramento dei ritorni di mercato nei comparti dove questo rialzo dei tassi – accompagnato da un allargamento dello spread – ha fatto più danni. Tra questi va incluso ad esempio il debito dei mercati emergenti in hard currency.