Previsioni sugli utili nel Regno Unito invariate malgrado il periodo difficile

Maya Bhandari -

Gli sviluppi nel Regno Unito, tra l’avvio dei negoziati per la Brexit e le elezioni generali, ci hanno spinto a interessarci nuovamente alla regione nelle ultime settimane.

Non abbiamo apportato modifiche alla posizione neutrale sulle azioni e sui tassi britannici, né abbiamo cambiato l’opinione negativa sulla sterlina.

Sospettavamo che l’assenza di una maggioranza definita in parlamento avrebbe probabilmente determinato l’allontanamento degli investitori dagli asset rischiosi orientati al mercato interno, in un contesto di accresciuta incertezza alimentata dal ritorno alla politica delle coalizioni. In vista delle elezioni, i nostri fondi gestiti e i desk reddito fisso e azioni globali sono rimasti complessivamente neutrali nei confronti del Regno Unito; all’interno della regione, invece, abbiamo effettuato allocazioni in large cap e società growth maggiormente orientate al mercato internazionale.

Ma tentare di prevedere la direzione che avrebbero preso i mercati è sembrato ancora più arduo rispetto a prima delle precedenti elezioni nel Regno Unito; infatti, come nel caso del referendum dell’anno scorso sulla permanenza nell’Unione europea, diversi sondaggi sono rientrati all’interno del margine di errore. Nella fattispecie, la risposta del mercato ha seguito linee prevedibili: deprezzamento della sterlina, solide performance delle azioni, trainate dalle società che generano utili all’estero, e una debolezza sostenuta per le azioni esposte all’economia interna.

Per quanto riguarda la Brexit, il nostro scenario di riferimento prevede che un’uscita piuttosto drastica dall’Unione (con la conseguente perdita dell’accesso al mercato unico), determinerebbe una flessione della sterlina e debiliterebbe il mercato dei Gilt. L’incapacità dei Tory di portare a casa una maggioranza alle elezioni ha chiarito ulteriormente alcuni aspetti dei negoziati intorno all’articolo 50, alimentando un intenso dibattito sulla possibilità che un governo di coalizione (con un partito conservatore umiliato) conduca a una Brexit più soft. I meccanismi stessi dell’uscita dall’UE appaiono quindi fondamentali per la previsione delle ripercussioni economiche. Se da un lato non è da escludere che il Regno Unito possa cambiare idea sull’applicazione dell’articolo 50 entro due anni, è altrettanto ipotizzabile che questo periodo non sia sufficiente per giungere a un accordo su tutti gli aspetti pratici della Brexit, con un conseguente scenario caotico con l’acqua alla gola.

Nell’eventualità di una “soft Brexit” o di un dietrofront, le possibili ripercussioni sulla crescita sono giudicate positive, tenuto conto dell’atteggiamento meno tollerante verso l’inflazione della Bank of England. Una Brexit con l’acqua alla gola presenta importanti rischi macro, tra cui una minaccia per i consumatori già messi alla prova, con un probabile aumento dei rendimenti dei Gilt, per effetto dei deflussi da parte degli investitori esteri. Il nostro scenario di riferimento contempla una Brexit piuttosto drastica, in cui l’immigrazione resta una tematica chiave e l’accesso al mercato unico non è più possibile o è gravemente limitato.

Tirando le somme, qual è l’impatto di quanto descritto sopra sulle nostre previsioni per il Regno Unito?

Stiamo diventando più prudenti sulle azioni britanniche esposte al mercato nazionale, poiché le attuali difficoltà sono diventate più evidenti in seguito all’esito delle elezioni. Queste società devono fare i conti con l’ulteriore indebolimento della spesa per consumi, sulla scia dell’acuirsi delle incertezze e dell’effetto erosivo dell’inflazione sui redditi reali; senza contare il crollo dei saggi di risparmio, che ha spinto l’equilibrio finanziario delle famiglie in deficit per la prima volta dal 2008. Le grandi società globali potrebbero inoltre risultare vulnerabili alla debolezza dell’economia statunitense, soprattutto quelle con valutazioni elevate. Nel frattempo, è possibile che l’impulso una tantum per le società che generano utili su scala internazionale derivante dall’indebolimento della valuta si sia esaurito.

Malgrado queste difficoltà, ci attendiamo una crescita degli utili societari per azione pari al 20% quest’anno, con un successivo ridimensionamento al 7% nel 2018. Queste previsioni sono supportate dal fatto che il sottopeso degli investitori sulle azioni britanniche è in prossimità dei minimi pre-Brexit, le operazioni di fusione e acquisizione in chiave opportunistica evidenziano una ripresa e le valutazioni (a 15 volte gli utili del 2017) appaiono interessanti, specialmente rispetto agli USA. Infine, le azioni britanniche continuano a offrire un soddisfacente rendimento da dividendo del 4,1% (che scende al 3,7% se si escludono le materie prime). In sintesi, al momento gli utili societari sono alquanto sottovalutati.

Altrove, gli sviluppi sul panorama dei fondamentali societari high yield in Europa appaiono positivi e dovrebbero restare tali per svariati motivi. Ad esempio, all’orizzonte si prospettano unicamente casi di insolvenza frizionali o idiosincratici, mentre gli importanti deflussi dai fondi pubblici (associati a un eccesso di offerta a marzo e aprile) non sono riusciti a destabilizzare la solidità del mercato nella prima parte dell’anno. Dal punto di vista delle valutazioni, il mercato risulta costoso rispetto al passato, ma d’altronde lo era anche negli anni che hanno preceduto la stretta creditizia (2005-2007); ciò dimostra che l’assenza di catalizzatori negativi può continuare ad attrarre gli investitori, a condizione che gli spread compensino abbondantemente il rischio di credito implicito, il che sembra corrispondere alla situazione attuale.


Maya Bhandari – gestore di portafoglio Multi-asset – Columbia Threadneedle Investments