Età pensionabile, in Italia non si va in pensione più tardi che nel resto d’Europa

Walter Quattrocchi -

Il report di Itinerari Previdenziali smentisce il mito del record italiano sui requisiti per il pensionamento

L’Italia non è uno dei paesi europei dove si va in pensione più tardi.

Il dato che smentisce l’affermazione, ormai diventata luogo comune, che il nostro Paese vanterebbe il primato europeo come età di accesso alla pensione , emerge da un’anticipazione del Quinto Rapporto “Il bilancio del sistema previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2016”, a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, che sarà presentato il prossimo febbraio.

Il tema dell’età pensionabile è al centro del dibattito sulla prossima legge di Bilancio, dove alcune forze politiche vorrebbero che si stanziassero risorse per bloccare l’adeguamento automatico dell’età pensionabile, cioè l’innalzamento dell’età di pensionamento per vecchiaia da 66 anni e 7 mesi a 67 anni previsto per il primo gennaio 2019.

L’approfondimento, a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, confronta le statistiche sull’argomento pubblicate dall’OCSE relative al 2014 con i dati dell’Inps relativi all’anno 2016, mettendo in risalto, accanto al dato del requisito dell’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia quello dell’età media effettiva di pensionamento.

Dati OCSE e Inps
Il report del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali ricorda che per il prossimo gennaio la riforma Fornero prevede l’unificazione dell’età per la pensione di vecchiaia tra lavoratori e lavoratrici del settore privato a 66 anni e 7 mesi, con un incremento di un anno per le dipendenti private e di 6 mesi per le lavoratrici autonome (per i dipendenti pubblici questi requisiti valgono già dal 2016 ).

 

Inoltre, secondo la ricerca, nel 2021, per effetto dell’adeguamento alla speranza di vita, si dovrebbero raggiungere i 67 anni di età per l’accesso alla pensione e questo porterebbe l’Italia ad avere il requisito anagrafico per il pensionamento più alto tra i Paesi europei.

Ma i rigidi requisiti dell’età legale per l’accesso alla pensione in Italia vengono ridimensionati dai dati sulle età medie di pensionamento che risultano dalle statistiche sull’argomento dell’OCSE e dell’Inps.

Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’OCSE, infatti, tra il 2009 e il 2014 le lavoratrici in Italia sono andate in pensione a un’età media effettiva di 61 anni e un mese, contro una media OCSE di 63 anni e 2 mesi, dietro a Paesi come il Regno Unito (62,4), la Germania (62,7), la Spagna (63,1) e la Svezia (64,2); mentre per quanto riguarda gli uomini, l’Italia si posiziona addirittura al quart’ultimo posto (vanno in pensione prima solo i lavoratori di Francia, Belgio e Slovacchia) con un’età media effettiva di 61 anni e 4 mesi, contro una media OCSE pari a 64 anni e 6 mesi.

L’Inps invece dichiara per l’anno 2016 un’età media di pensionamento in Italia, comprensiva delle tre categorie anzianità, vecchiaia e prepensionamenti, di 63,9 anni per gli uomini (in aumento rispetto al 2014, 63,2 anni) e di 61,9 anni per le donne.

Il rapporto a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali evidenzia come i dati OCSE siano calcolati su intervalli di 5 anni e che quindi ci saranno lavoratori che andranno in pensione di vecchiaia non prima del requisito fissato dalla legge a causa di una carriera lavorativa discontinua .

Considerando i dati OCSE e quelli dell’INPS la ricerca conclude come facendo non tanto riferimento all’età legale per il pensionamento, ma quanto a quella effettiva della decorrenza della pensione, l’Italia non sia affatto uno dei Paesi dove si va in pensione più tardi.

Tutto ciò considerando la possibilità di anticipare l’età legale di pensionamento ricorrendo alla pensione di anzianità con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne o alle numerose deroghe previste dal nostro ordinamento per lavoratori usuranti, marittimi, minatori, per le diverse gestioni speciali (dai lavoratori del trasporto alle ferrovie al volo), per gli esodati attraverso le salvaguardie, per le lavoratrici con il ricorso all’opzione donna, per i lavoratori in esubero mediante i prepensionamenti.

Lo studio conclude, alla luce di questi dati, ritenendo non motivata la proposta di bloccare l’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita e considerando semmai utile non legare l’aumento della speranza di vita con l’incremento automatico dell’anzianità contributiva, anzi riportando il requisito per la pensione anticipata a 40/41 anni di contribuzione, come prima della riforma Fornero.

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