È ancora ridotta la diffusione della previdenza complementare nelle famiglie italiane

Roberto Carli -
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La Banca d’Italia ha pubblicato la consueta Indagine annuale sul bilancio delle famiglie italiane. Quali sono le principali evidenze ?

Tra il 2014 e il 2016 il reddito equivalente medio delle famiglie italiane è cresciuto dopo essere quasi ininterrottamente caduto dal 2006. Questo complessivo miglioramento si è tuttavia accompagnato con una crescita della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e della quota degli individui a rischio di povertà.

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Andando alla ricchezza, alla fine del 2016 le famiglie italiane disponevano in media di una ricchezza netta, costituita dalla somma delle attività reali e delle attività finanziarie al netto delle passività finanziarie, di circa 206.000 euro (218.000 euro nel 2014).

Le attività reali (immobili, aziende, oggetti di valore) rappresentano l’87 per cento del patrimonio lordo. Le passività finanziarie delle rappresentano meno del 5 per cento del loro patrimonio lordo; la quota è di circa il 18 per cento se riferita alle sole famiglie indebitate (circa il 21 per cento del totale). Tra il 2014 e il 2016 la ricchezza netta media è diminuita del 5 per cento a prezzi costanti.

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Come in passato, il calo è stato determinato dall’andamento delle attività reali che ha riflesso prevalentemente la riduzione del valore degli immobili. Ha pertanto interessato prevalentemente i patrimoni dei proprietari, che sono più elevati.

La quota di famiglie che detenevano attività finanziarie è ancora salita, all’84 per cento dal minimo del 79 per cento raggiunto nel 2012, tornando sui livelli prevalenti prima della crisi finanziaria. Solo circa il 22 per cento deteneva almeno un’attività finanziaria diversa da depositi bancari o postali in conto corrente (circa il 26 per cento nel 2014), per la maggior parte nella forma di investimenti diretti in titoli di Stato, obbligazioni private, azioni e titoli esteri.

Il valore medio della ricchezza finanziaria di queste ultime famiglie era pari a circa 87.000 euro. La distribuzione delle attività finanziarie è analoga a quella della ricchezza netta. Il 30 per cento delle famiglie italiane con patrimonio netto più basso detiene solo circa il 4 per cento della ricchezza finanziaria complessiva (in media circa 4.000 euro a famiglia); il 30 per cento di quelle più abbienti ne possiede poco meno dell’80 per cento (in media circa 72.000 euro), di cui oltre metà riconducibile ai nuclei appartenenti al 5 per cento più ricco, che detengono in media circa 220.000 euro in attività finanziarie.

A tali divari si associano portafogli con composizione molto diversa. Le famiglie appartenenti al quinto più povero detengono principalmente depositi; nelle classi centrali di ricchezza netta cresce progressivamente la quota di titoli di Stato, obbligazioni private e investimenti gestiti (prevalentemente fondi comuni); sono soprattutto le famiglie appartenenti al 20 per cento più abbiente a detenere direttamente azioni e ad affidare la gestione di una parte cospicua delle loro attività finanziarie a operatori professionali.

Quasi il 70 per cento delle famiglie italiane possedeva l’abitazione di residenza e circa un quarto di esse possedeva anche altri immobili; solo il 2 per cento delle famiglie possedeva immobili che non comprendevano l’abitazione principale. La quota di famiglie proprietarie dell’abitazione di residenza è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2006.

Fondi pensione e assicurazioni del ramo vita, ammontano poi a circa il 23 per cento del totale della ricchezza finanziaria lorda detenuta dalle famiglie. Secondo l’Indagine, in circa il 15 per cento delle famiglie almeno un componente ha dichiarato di aderire a fondi pensione o assicurazioni vita per integrare la pensione pubblica; la quota è più elevata al Centro Nord (17 per cento; 11 per cento nel Mezzogiorno).

Tra i lavoratori dipendenti, queste forme di previdenza integrativa sono più diffuse tra i dirigenti (43 per cento; circa il 25 e il 14, rispettivamente, tra gli impiegati e gli operai), mentre il divario tra classi d’età è decisamente più contenuto (poco meno del 20 per cento nelle fasce tra i 20 e i 45 e tra i 56 e i 65 anni e del 30 per cento in quella tra i 46 e i 55 anni); tra i lavoratori autonomi vi aderisce il 17 per cento, senza divari apprezzabili tra classi di età.