Outlook economico, Stati Uniti ed Eurozona si scambiano di posto

Ken Orchard -

L’era delle sovraperformance dell’economia Usa rispetto all’Eurozona sta per finire? Alcuni segnali indicano di sì.

Molti degli indici che misurano le sorprese in termini di dati rispetto alle previsioni ora segnalano punteggi inferiori per gli Stati Uniti rispetto all’Eurozona, per la prima volta dall’inizio dell’anno, implicando quindi un peggiore outlook di consensus per l’economia statunitense rispetto a quello europeo. Altri indici di sorpresa non hanno ancora mostrato dati a favore dell’Eurozona, ma indicano che il gap si sta assottigliando e se tale tendenza continuerà ci potrebbero essere implicazioni importanti per il dollaro e per i rendimenti dei Bund.

Gli indici di “sorpresa” riflettono la perfomance economica rispetto alle aspettative: ovvero, la differenza tra ciò che mostrano i dati economici e quello che si aspettavano gli economisti. La solida crescita dell’Eurozona lo scorso anno ha portato gli economisti ad alzare le loro aspettative: quindi, quando la crescita ha iniziato a rallentare a partire da febbraio 2018, l’indice di sorpresa dell’Eurozona è crollato. Contemporaneamente, i tagli e gli stimoli fiscali hanno fatto sì che la crescita negli Stati Uniti superasse le aspettative, portando l’indice di sorpresa Usa a livelli superiori. Ora i dati iniziano a convergere tra loro, l’Eurozona sta infatti mostrando una crescita più stabile mentre i dati Usa stanno iniziando a rallentare: lo scambio di posto tra le due regioni ne è una conseguenza.

Ci sono diversi motivi alla base del rallentamento della crescita nell’Eurozona nei mesi scorsi, compresi un euro più forte, il clima, e un rallentamento della spesa pubblica in Germania, tutte situazioni che si sono poi capovolte. Anche la crociata di Trump sul commercio ha influenzato il sentiment degli esportatori europei, anche se è probabilmente troppo presto per vedere un impatto notevole sul livello effettivo di produzione e investimenti. Le vere conseguenze delle politiche commerciali di Trump probabilmente verranno percepite tra un po’ di tempo, ma se saranno i Paesi europei o gli Stati Uniti ad essere colpiti di più dipenderà più che altro dalla risposta degli altri Paesi.

I recenti dati negativi mostrati dagli Stati Uniti sono più difficili da spiegare. I limiti in termini di capacity sono probabilmente un fattore importante: l’ultimo indice PMI ha mostrato che le aziende statunitensi hanno incontrato difficoltà nel sostenere il rapido ritmo della crescita di nuovi ordini nella prima metà dell’anno, il che non sorprende visto che il ciclo sta avanzando e il tasso di disoccupazione è basso. Il mercato immobiliare è stato leggermente più debole del previsto, in parte a causa del deterioramento dell’accessibilità, ma anche per la discrepanza tra offerta e domanda.

Quindi, a causa di tutti questi fattori, che cosa ci possiamo aspettare dalle banche centrali? La BCE ha già dichiarato che non alzerà i tassi fino a settembre o ottobre 2019, e sebbene la crescita dell’Eurozona si sia stabilizzata a un ritmo notevole (attorno all’1,6% a/a), questo dato non è ancora abbastanza forte per suggerire che la banca centrale modificherà i propri piani. L’outlook di rallentamento per gli Stati Uniti pone alcuni dubbi su quanto ancora la Fed continuerà con le politiche restrittive. Una visione condivisa anche dai mercati, che dopo l’incontro di settembre stanno prezzando solo due ulteriori rialzi dei tassi da parte della Fed (uno a dicembre e uno a marzo).

Tuttavia, c’è un interessante disconnessione tra i tassi e i mercati valutari. Il dollaro deve ancora attraversare una fase negativa, e ciò implica che i mercati delle valute stanno ancora sostenendo l’ipotesi di un’economia forte negli Stati Uniti e debole nel resto del mondo. Dato che il dollaro generalmente reagisce ai tassi forward di breve termine sulle differenze tra i tassi di interesse – e riteniamo che la Fed interromperà la stretta monetaria nel corso del prossimo anno e che la BCE inizierà ad alzare i tassi – ciò alla fine dovrebbe portare il dollaro a indebolirsi rispetto all’euro.

Anche i rendimenti dei Bund potrebbero aumentare se l’indice di sorpresa economica dell’Eurozona dovesse continuare a migliorare. La nostra analisi mostra che la probabilità di una crescita dei rendimenti dei Bund aumenterà in maniera significativa, via via che gli indici di sorpresa passeranno da essere negativi ad essere positivi. Al momento, i tassi valutari impliciti stanno prezzando un rialzo dei tassi della BCE di soli 100 punti base in totale nel corso dei prossimi 5 anni, il che sembra essere in contrasto con la stabilizzazione della crescita del PIL oltre il suo potenziale. Anche un modesto irripidimento della curva dell’aspettativa sui tassi potrebbe portare i rendimenti dei Bund ad aumentare di circa 25 punti base. Per questo motivo stiamo sottopesando i Bund, nonostante una miriade di preoccupazioni geopolitiche e di questioni riguardanti i Mercati Emergenti.


 Ken Orchard – Co-Portfolio Manager, Diversified Income Bond Strategy – T. Rowe Price