Tensioni USA-Cina: un accordo (da solo) non normalizzerà l’economia del dragone

Charles Sunnucks -
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Incertezze commerciali, proroghe, politica del rischio calcolato, minacce – i negoziati dell’UE con il Regno Unito non sono l’unica relazione commerciale ad essere notevolmente compromessa.

Da fine 2016, quando Trump è stato eletto presidente su un’agenda che includeva tra gli obiettivi quello di affrontare la questione relativa a pratiche commerciali cinesi percepite come anticoncorrenziali, le prospettive degli esportatori cinesi sono peggiorate. A fronte dei circa 505 miliardi di dollari che la Cina ha esportato negli Stati Uniti nel 2017, già a maggio/giugno 2018 Trump aveva imposto dazi del 25% su 50 miliardi di dollari di prodotti, mentre ad agosto aveva stabilito dazi del 10% su altri 200 miliardi di dollari di merci. Ora minaccia di innalzarli ulteriormente se entro marzo non si raggiunge un accordo commerciale. Questa incertezza ha avuto un impatto non solo sugli esportatori, ma anche sulla fiducia delle imprese e dei consumatori.

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Un accordo, tuttavia, sembra ora vicino, dopo che Trump ha annunciato che avrebbe partecipato ad un summit “finale” con il leader cinese Xi Jinping. Come si apprende infatti dal sito web del Dipartimento di Stato americano, gli Stati Uniti “hanno finalizzato un Memorandum d’intesa considerato come accordo internazionale vincolante”. Al di là delle tariffe, la Cina ha già raggiunto un compromesso su una serie di questioni. Ad esempio, nel giugno 2018 la Commissione Nazionale Cinese per lo Sviluppo e le Riforme ha annunciato che l’elenco dei settori cinesi in cui è stata vietata la proprietà straniera si è ridotto da 63 a 48 unità. Sia BMW che UBS hanno già approfittato di questo cambiamento annunciando piani di acquisto delle quote di controllo nelle rispettive joint venture in Cina. Per quanto riguarda la proprietà intellettuale, alla fine del 2018 le regole sulle violazioni in materia sono state inasprite, stabilendo 38 diverse sanzioni da applicare. Il legislatore cinese ha anche cercato di affrontare più direttamente i timori degli Stati Uniti sul deficit commerciale, ad esempio annunciando a febbraio che avrebbe acquistato più prodotti/servizi del settore agricolo ed energetico statunitense.

Per il mercato azionario cinese, dopo un difficile 2018, la crescente probabilità di un accordo ha rappresentato uno dei fattori a sostegno del rally nel 2019. Tuttavia, è improbabile che qualsiasi accordo commerciale ufficiale possa normalizzare completamente le condizioni dell’economia. Man mano che la Cina prosegue nel cambiamento dall’essere la “fabbrica del mondo” a sviluppare società innovative che competono – più che collaborare – con le controparti occidentali, permarrà una certa tensione. Inoltre, una riforma finanziaria dinamica, le riforme sul lato dell’offerta e le innovazioni indotte dalla tecnologia continuano a creare nuovi rischi e nuove opportunità.

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Charles Sunnucks – team Global Emerging Markets – Jupiter Asset Management